Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 8 ottobre 2007
L’epidemia di peste che nel 1576-1577 colpì anche Magenta e alcuni comuni limitrofi fu accompagnata, come solitamente accade, dalla penuria di generi alimentari, grani in particolare; le condizioni economiche della popolazione, già precarie per il combinarsi di epidemia e carestia, vennero oltremodo aggravate dal fatto che Magenta, per una sfortunata tipicità locale, era luogo di continuo transito di soldatesche, lungo la via postale tra Milano e Novara. Nei documenti dei secoli passati si fa cenno frequentemente all’obbligo imposto ai magentini di dare ospitalità e vettovaglie alle truppe di passaggio o di stanza temporanea; obbligo che poi, in teoria, avrebbe dovuto essere compensato con rimborsi in denaro dall’autorità centrale, cosa che però avveniva assai raramente nei fatti.
Nel fondo Notarile dell’Archivio di Stato di Milano è conservata una dettagliata descrizione di un colorito episodio avvenuto sul finire dell’anno 1576. Il giorno 28 dicembre, nel primo pomeriggio, era giunto in Magenta il capitano Teodoro Criesia con il proprio luogotenente e con una cinquantina di soldati a cavallo; proveniva dal castello di Milano e come di prassi chiese di poter alloggiare nelle case del borgo per la notte, in forza delle lettere patenti di cui disponeva.
In tempo di peste, al limitare dei villaggi, erano costruiti dei rastelli, ovvero steccati o palizzate per controllare che i forestieri di passaggio fossero muniti delle bollette o fedi di sanità che ne garantissero la provenienza da luoghi immuni dal contagio. Quel giorno al rastello di Magenta era presente un certo Giovanni Battista Castiglioni, proprietario terriero, il quale cominciò a dire che quei soldati non dovevano entrare nel borgo e che dovevano invece cercarsi un alloggiamento in campagna. Non si trattava di una richiesta inconsueta, perché in effetti, per precauzione sanitaria adottata anche in tempi immuni da rischio di contagio, le truppe di passaggio venivano spesso fatte accampare in prossimità di cascine.
In quell’occasione tuttavia il sindaco e l’agente della comunità, dopo aver preso visione delle fedi di sanità e delle patenti che vennero loro esibite dal capitano Criesia, fecero entrare i cavalleggeri nel centro abitato. I soldati vennero condotti all’ufficio della podesteria per le formalità, ma il Castiglioni, non persuaso della bontà della decisione delle autorità locali, li seguì e alzando la voce disse al luogotenente e all’alfiere, delegati dal sindaco di espletare le formalità di alloggio, che, se tutti gli uomini di quella comunità fossero stati del suo umore, avessero cioè avuto lo stesso coraggio, i soldati non sarebbero entrati. Aggiunse poi, con tono di sfida, un “chi vi credete di essere!” all’indirizzo dei delegati del sindaco.
L’alfiere allora rispose che i soldati avrebbero pernottato in campagna, come avevano fatto altre volte, se in questo ci fosse stato un “vantaggio per il re”. Il Castiglioni replicò che intendeva mettere in armi tutti gli abitanti della terra contro di loro, ma il podestà, il sindaco e il console (tre diversi livelli dell’autorità comunale, in rappresentanza delle diverse componenti della popolazione) ribadirono l’intenzione di farli alloggiare nel borgo, e così tutti si trasferirono in piazza per ultimare la compilazione dei bollettini degli alloggiamenti. Il console, per ultimare quella operazione, entrò nella bottega di uno speziere; nel frattempo il Castiglioni venne informato che un soldato era stato assegnato per l’alloggiamento presso la casa di un suo massaro e quindi entrò in quella bottega e prese a inveire contro il console, pretendendo di poter esaminare il compartito, cioè come era stata fatta la ripartizione degli alloggiamenti.
Il console si rifiutò di mostrargli il compartito e allora il Castiglioni gli disse testualmente che era un “becho fotuto”. A quel punto l’offeso, “homo maritato et de honore”, gli sferrò un pugno sul viso, al quale il Castiglioni rispose scagliandogli addosso mezzo mattone raccolto lì da terra. Il console, lesto, riuscì a scansarsi evitandolo: ne restò tuttavia colpito allo stomaco, ma in modo non grave, un cavalleggero.
A quel punto, vistosi in pericolo, il Castiglioni fuggì.
Non sappiamo se e quali conseguenze il nobiluomo dovette subire per quel gesto sconsiderato.
Certo l’episodio di violenza, in sé non così raro a quei tempi, è comunque una testimonianza del clima di diffidenza, se non di paura e di esasperazione, allora vissuto dalla popolazione nei confronti dei forestieri, potenziali portatori di contagio, anche se le autorità pubbliche si sforzavano di mantenere l’ordine e il rispetto delle leggi.
Immagine bolletta di sanità tratta dal sito della Società Storica Novarese