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Accadde in piazza – 3 parte (testo e podcast)

Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 4 maggio 2001

Il mercato che dal 1787 riprese ad attirare operatori ed acquirenti da tutto il circondario fu un episodio fondamentale per la crescita economica del borgo magentino, che sempre più, sul finire del XVIII secolo stava acquisendo quel ruolo di centralità che ne avrebbe contraddistinto i due secoli successivi; nel 1788 Magenta ottenne anche il privilegio, “graziosamente permesso dalle Clementissime Sovrane Intenzioni di Sua Maestà Imperiale“, di una fiera annuale di bestiami dalla durata di tre giorni, da tenersi sempre sulla piazza nella terza settimana di settembre.
E sulla piazza centrale, ribattezzata “Piazza del mercato” a partire da quegli anni, il mercato rimase fino a  cinquant’anni fa, ad eccezione del solo mercato delle bestie, che dal 1914 venne trasferito nell’area dinanzi alla vecchia chiesa di San Martino, ovvero l’odierna piazza Kennedy; a imporre lo spostamento fu una causa eccezionale, l’epidemia di afta epizootica che imperversava in quell’anno (le epidemie del bestiame non sono una novità di oggi!) e che costrinse a dirottare gli animali verso spazi più isolati; da lì il mercato delle bestie non si mosse più, e per i Magentini quella divenne la “Piasa di besti”.
Saltando in un colpo tutto l’Ottocento, con un solo richiamo alla battaglia del 4 giugno 1859 che sulla piazza ebbe il momento conclusivo, giungiamo a ricordi ed episodi a noi più prossimi.
Nel 1927 un elenco delle attività commerciali di Magenta indicava 23 botteghe aperte sulla piazza, oltre ad un albergo, tre caffè, due osterie e una banca; tra le botteghe non ce n’erano né di generi alimentari generici (31 in tutto in Magenta) né di frutta e verdura (in tutto 26, soprattutto nelle vie Manzoni e Fornaroli); evidentemente la piazza era un palcoscenico più raffinato di quanto fosse il resto del borgo, e lì potevano a giusto diritto aprirsi solo botteghe che fornissero servizi (arrotini, calzolai, vetrai e altri) o che vendessero generi alimentari di una certa qualità (macellai, droghieri, pasticceri). Tra questi ultimi spiccava, sotto i portici, la storica pasticceria Burla, ovvero un pezzo della storia della nostra città.
Eccola in una descrizione di Teresio Sangalli: «Considerato per lunga tradizione “al caffè di sciouri”, il Burla fu per lungo tempo sistematicamente evitato dalla gran massa dei Magentini, che lo avevano in gran soggezione. Prendere un caffè da Burla significava infatti, al tempo del suo massimo splendore, coronare nel migliore dei modi una giornata di gaudio, ed era cosa tanto rara allora per i buoni Magentini, che faceva epoca. Contribuiva assai alla non usurpata fama un’annessa premiata pasticceria, genitrice feconda di fitte schiere di “Burlapanettoni” e di altrettanti battaglioni di prelibate “Offelle Magenta”, specialità della Casa, autentiche delizie dei buongustai […] Ma un brutto giorno ne fu decretata la fine. In nome del progresso, si disse. Conscio della propria sorte ormai segnata, il caffè Burla si preparò così a morir bene come bene visse per oltre due secoli e in letizia […]».
Sempre alla penna di Teresio Sangalli dobbiamo il ricordo di una manifestazione folcloristica che per anni ha segnato il carnevale dei Magentini, la mitica Giobbiana (se ne parla nel recente articolo di Davide Cattaneo), le cui origini si perdono nella notte dei tempi, all’epoca romana o forse a quel famoso anno 1310 in cui Arrigo VII imperatore giunse a Magenta. Ancora una volta, ecco protagonista la piazza: «[…] I Magentini, constatate le eccellenti predisposizioni dell’imperatore Arrigo VII, osarono chiedergli l’autorizzazione a procedere contro una vecchia megera del luogo soprannominata appunto Giobbiana, in fama di strega mangia-bambini. Presa la vecchia dunque dagli armigeri di Arrigo VII, venne trascinata in piazza a furor di popolo e, dopo un sommario processo, condannata al rogo e abbruciata seduta stante, al rullo dei tamburi. A ricordo di questo fatto e per solennizzare la fine di un incubo, ogni anno, il primo giovedì di marzo, un rudimentale fantoccio veniva issato al sommo di una pertica e, in corteo lungo le vie del paese, veniva fatto passare davanti alle finestre delle abitazioni, in funzione di spauracchio. Indi, seguito da un codazzo di ragazzi urlanti e muniti di ogni sorta di aggeggi atti a far fracasso, il fantoccio stesso veniva portato in piazza e lì dato alle fiamme simulando così la scena del rogo di tanti anni prima. Col passare degli anni la tradizione subì delle varianti, e in tempi recenti il giorno della “Giobbiana” significa per noi Magentini un’appendice del Carnevale o, meglio ancora, il giorno “dell’autocritica”. A sera ci si radunava in Piazza ove “un magentin spirit bizzarro”, presente il popolo tutto, andava con tono solenne rievocando fatti e misfatti succedutisi entro le patrie mura durante l’anno precedente, ed esponendo al pubblico ludibrio, tra il serio e il faceto, uomini e cose, traendone spesse volte in sgangherata rima l’opportuna morale. Era veramente uno spasso! […] Ma oggi tutto tace».
Per finire, ecco un documento recente, che ci porta inevitabilmente all’oggi, ed al nuovo aspetto che la piazza ha ormai assunto, nel tentativo di cambiarle la natura e di adattarla a nuove esigenze; la piazza centrale di Magenta, spazio ampio poiché un tempo in parte occupato da un fossato, si è sviluppata come luogo d’incrocio tra due importanti direttrici aventi andamento ortogonale, (Milano-Novara e Pavia-Varese), e fu proprio in concomitanza con l’aumento del traffico veicolare, negli anni Sessanta del secolo scorso, che il problema della sistemazione cominciò a porsi come un problema: “[.. .] Queste due vie costituiscono praticamente il cuore della città, e su di esse si svolge la vita pubblica dei Magentini. Nel punto di incrocio subiscono una strozzatura obbligata per la presenza dei portici, intoccabili perché monumento paesistico, in quanto tramandano l’architettura dell’antica Magenta. Si era studiato in un primo tempo di abbatterli per snellire appunto il traffico e dar più ampio respiro alla piazza anti-stante, allargando di conseguenza la sede strada-le, ma il progetto ha avuto il veto della Sovrintendenza ai Monumenti […]”. Un veto quanto mai opportuno; si decise molto più opportunamente di costruire le due circonvallazioni, sacrificando qualche ettaro di terreno ma salvando il cuore antico del borgo; con la “filosofia delle ruspe” tuttavia si cancellarono alcuni tra gli edifici più belli che facevano da cornice a questo storico luogo.

Immagine di copertina: Piazza Umberto I (attuale Piazza Liberazione) anni 1910-1920 

Laura Invernizzi

Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA
Giornalista, realizzatrice e voce narrante della sezione "Podcast"

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