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Al fuoco, al fuoco (testo e podcast)

Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 6 luglio/agosto 2008

Nei secoli passati, la frequenza degli incendi sia all’interno dell’abitato sia nelle cascine sparse nel territorio è un fatto documentato, e le notizie sull’attività di contrasto a questa vera e propria calamità aumentano con l’aumentare della documentazione rimasta. 
Se infatti abbiamo informazioni episodiche per quanto riguarda i secoli più lontani da noi, a partire dall’Ottocento le informazioni si fanno più puntuali, fino a diventare capillari con l’aprirsi del XX secolo. 
La prima macchina idraulica per lo spegnimento degli incendi venne acquistata dalla comunità magentina nel 1832, ma ci vollero quasi dieci anni per stabilire un regolamento che ne disciplinasse l’uso. Se ne sottovalutava forse l’importanza, ma quando finalmente nel 1840 venne assunto un apposito custode (tal Francesco Stoppa, falegname), stipendiato per tenerla “pulita, oliata e sempre in efficienza”, i benefici furono immediatamente colti, e la “macchina pompante/premente” fu frequentemente richiesta anche dai comuni limitrofi. Si trattava di un serbatoio collocato su un carro trainato da cavalli, che con un sistema a pressione consentiva di prelevare l’acqua dai fossi o dai pozzi per poi utilizzarla con getto a pressione dove ci fosse necessità. 
Con il passare degli anni, il corpo dei pompieri comunali si dotò di un organico strutturato in un capo pompiere con stipendio fisso, coadiuvato da un vice capo e da sedici vigili del fuoco pronti ad intervenire in caso di incendio
Una prima riforma del 1897 andò nella direzione di quella che oggi si chiamerebbe “razionalizzazione” dell’organico: pur consapevole che la frequenza dei focolai richiedeva la presenza costante dei pompieri, la Giunta comunale ritenne di ridurre il loro numero a dodici poiché “allorquando i pompieri sono chiamati a prestare servizio fuori dal Comune, il carro, già enormemente pesante, impedisce di essere velocemente trainato dai cavalli, per sovraccarico di persone; eppoi, meglio pochi, ma buoni e diligenti, che molti noncuranti e indisciplinati”. 
L’anno 1901 segnò la svolta verso la modernità, perché fu nel marzo di quell’anno che il Consiglio comunale deliberò l’acquisto di una nuova macchina per l’estinzione degli incendi, tecnologicamente all’avanguardia, adducendo la motivazione che “una pompa di nuovo modello, oltre a portare un sensibile vantaggio in caso di sinistri, che troppo di frequente si verificano in questi tempi, darà altresì un minor dispendio per la sua pratica attivazione”. 
Venne prescelta la ditta Fratelli Fischer di Milano, che fornì una pompa Knaust, di fabbricazione austriaca, modello Grand II, completa di accessori tra cui un tubo di canapa “qualità superiore” lungo 75 metri. 
Nella stessa occasione, il consigliere Giuseppe Ceriani propose di dare finalmente sistemazione al corpo dei pompieri, “che praticamente lascia alquanto a desiderare, procedendo alla nomina “di un soprintendente competente per dirigere le operazioni”, dotando “ciascun pompiere di una giacca di fatica” e creando una lista di “persone occorrenti per la macchina e per portare l’acqua”. Evidentemente lo sfoltimento dell’organico di quattro anni prima non aveva dato i risultati sperati. Quanto gli argomenti del Ceriani fossero attuali venne subito dimostrato: la fornitura della macchina era prevista per il 1902, ma per una singolare coincidenza, nei mesi successivi la deliberazione di acquisto da parte del Consiglio comunale, si svilupparono due incendi particolarmente gravi, che convinsero senza dubbio della bontà della decisione di dotarsi di strumenti più efficaci. 
Il 2 aprile 1901 prese fuoco la casa Bacinetti, in via S. Rocco 4 (oggi via Garibaldi) e dovettero intervenire 50 cooperanti “per la pompa e per portare acqua”, tutti poi regolarmente retribuiti dal Comune. Il 3 settembre, alla casa Prinetti, in Corso Vittoria 7 (oggi via Roma) scoppiò l’inferno: i pompieri dovettero lavorare per una notte e per tutto il giorno seguente per aver ragione delle fiamme; oltre ai dieci pompieri “titolari”, furono reclutati “sul posto” dei cooperanti (6 contadini, 10 calzolai, 7 muratori, 1 ramiere), ai quali il sarto Biletta, con bottega in via della Stazione, fornì tempestivamente dei berretti di tela blu, con funzione di protezione e anche di riconoscimento nella confusione che immaginiamo dovette svilupparsi. 
In occasioni simili, la dotazione strumentale di cui disponevano i pompieri non era sufficiente, e si doveva provvedere al noleggio da un negoziante in loco di “brente e secchie per portare acqua”. La spesa che le casse comunali dovevano sostenere per ricompensare gli uomini che prestavano la loro opera era abitualmente compensate dalla quota che i proprietari degli immobili danneggiati trasferivano al comune, quota del rimborso versato dalle compagnie di assicurazione, sempre più presenti sul territorio. 
A conclusione del piano di rinnovamento del corpo dei pompieri, nel 1904, “per assecondare il desiderio ripetutamente espresso da alcuni consiglieri” fu deliberato di rinnovare l’uniforme e l’attrezzatura, tra cui la sciabola per il capo pompiere. 
Non mancò l’occasione per collaudare sul campo la nuova organizzazione: la sera del 17 agosto 1905, le fiamme si levarono altissime dalle case coloniche al numero 70 di Corso Vittoria;
l’incendio minacciava di propagarsi alle abitazioni circostanti e, ritenendo che fosse insufficiente l’opera dei pompieri comunali (il capo pompiere Bertoglio Giuseppe, il sotto capo, 10 pompieri e 4 pompatori), si dovette richiedere l’ausilio delle pompe e degli uomini dello stabilimento Fabbriche Riunite Fiammiferi di Pontenuovo, che portarono efficace aiuto per tutta la notte; alla loro generosità il Consiglio comunale rispose con un ringraziamento ufficiale e con un congruo premio in denaro.

Si ringraziano i Vigili del Fuoco – distaccamento volontario di Magenta per le immagini

Laura Invernizzi

Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA
Giornalista, realizzatrice e voce narrante della sezione "Podcast"

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