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C’era una volta…la “dote” di maggio (testo e podcast)

Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 4 maggio 1994

Il mese di maggio, con i suoi fiori, con le sue campagne ormai in pieno rigoglio, è ancora oggi uno dei periodi preferiti per le nozze. Oggi come sempre; ripercorriamo allora qualche immagine che ha visto i nostri avi magentini impegnati nella celebrazione di questo sacramento, che allora più di oggi era anche un importante momento della vita sociale. Grande fu ad esempio la baldoria a Magenta nel maggio del 1642 quando, in tempo di guerra, il signor Gio Paolo Visconti, sposando la signora Diamanta, volle coinvolgere tutto il borgo nei festeggiamenti. Il sarto fece l’abito della sposa con una veste di damasco argentino con filature e ricami dorati, il fornaio fece trovare il pane bianco, lusso quasi proibitivo per quel tempo. Alle danze, favorite dalla stagione propizia, giacché si era “al tempo delle cerese” partecipò il popolo tutto.
La nobiltà milanese, che pure possedeva ingenti beni in Magenta, non celebrava nel borgo le sue cerimonie, preferendo sfoggiare il lussuoso apparato nell’alta società del capoluogo. Alcuni matrimoni magentini hanno invece affidato la loro memoria ad atti notarili, in cui era precisamente registrata l’entità delle doti, ovvero l’insieme dei beni e degli oggetti che la moglie portava al marito a titolo di contributo agli oneri del matrimonio. Questi beni erano in gran parte oggetti di uso quotidiano. Gli elenchi della “mobilia, (termine comunemente usato per definire ciò che non era bene stabile) ci danno un’immagine di gente umile ma dignitosa, gente povera ma che con molto sacrificio ha accumulato tutto ciò che sarebbe servito per impiantare una nuova famiglia. La stima degli oggetti, fatta da persone esperte, quali sarti, orafi e falegnami, era successivamente trasformata in rogito notarile. Il fine non era quello di bilanciare i beni del marito, ma di coadiuvarne l’impegno: la donna abitualmente portava in dote il letto nuziale con la relativa biancheria, il proprio corredo (la scherpa), la biancheria da tavola e qualche capo di vestiario ad uso del marito e dei figli a venire. 
Ciò che più contava però era la garanzia che la consistenza della dote dava sulla qualità e l’abilità della sposa nel lavoro manuale, indispensabile per il suo futuro da moglie. Gli abiti e le frequenti decorazioni in pizzo, segno di affetto ed opera della collaborazione tra madre e figlia, erano il segno di tutto un bagaglio di cultura materiale gelosamente custodita e tramandata, ed anche garanzia di perizia nel lavoro da sarta che, per estensione, significava anche capacità nell’affrontare con la dovuta preparazione tutte le faccende della vita domestica.
Ecco dunque l’elenco degli oggetti in dote desunto fedelmente dal contratto del 1636 tra Angiola di Gio Battista Merlo e Giuseppe Moirago di messer Ambrosio: Un letto con il suo piumazzo di peso de libre 35; una catelana bianca usata; una copertina di racadino (seta fina di cattiva qualità) nova color cremise e aurora; tre lenzuoli novi con dentro li soi bindeli, e uno usato; cinque camise tutte nove, con dentro una de lino, e quattro usate; un para de fodrette usate; uno schosale bianco di lino con lavorii doratti et pizzi di Fiandra, e uno color oro; uno schosale de tella sutila grisa con soi lavorii a doi liste fati a gugia; uno schosale de tella nostrana con lavorii de intalio; otto coletti parte novi et parte usati; nove colarini (fazzoletti da collo) usati; sette mantini (tovaglioli) novi; sei paneti usati; una bombasina nera usata con le manighe de pano rosso di davanti; una saliia (vestaglia) argentina con sue maniche color de oro; una saliia verde con sopra quatro lustrini e sue maniche; una sotana di panno cremisi usata, listata di velluto cremisi con un para de maniche di bombasina turchina; sei brazza de bombasina bianca; una tovaglia usata; un paro de calzette de panno e diece a righe; un para de manighe di davanti nove; una cassa de noce; una bianchetta nova, cioè sotana di panno; una peliza (il cui valore, per intendersi equivaleva a quello di tre camise nove); un para de pantofole, et scharpe et zocole nove; un filza de coralli (che non valeva più della peliza); un anello d’oro (stimato come dieci filze de coralli); un cifone de due ante quasi novo; una croseta de argento con brilli; un canestro con dentro molte cose; due giaponini (?) bianchi da bandirola novi: un busto di rosetta di rovescio (?) di Fiorenza; uno scaldaletto, o ssi prete, di rame; tre sotanini e farsetta di camelotto e di rocadino. La qual mobilia è stata stimata dalle parti confidenti per 572 lire.

Con catelana si era soliti intendere una sorte di sopravveste da inverno, così detta perché fatta di panno di Catalogna: in questo caso indicava piuttosto una copriletto del medesimo tipo di tessuto. Fodretta era la federa, ovvero vesticciola di pannolino fatta a guisa di sacchetto, nella quale si mette il guanciale. Schosale equivaleva a guardavesti che le donne si cingono o per riparare da ogni bruttura le vesti dalla cintola ai piedi o per galanteria dalla cintola a poco sotto le ginocchia. I coletti, diversi dai collarini, erano strisciuole di panno o altro che circondano il collo del vestito, della sottoveste o simili. Di uso abituale erano i panetti, cioè fazzoletti oppure drappicelli che le contadine indossano a mo’ di picciolo scialle e che si mettono sul capo a foggia di velo allorché entrano in chiesa. Il vocabolo bombasina aveva doppio significato: indicava tanto la tella bombasina di cotone quanto le vesticciuole tessute in panno cotonato. Il cifone (scifon) era uno scaffalino o più frequentemente mobiletto che è ripostiglio dell’orinale e spesso anche del pitale; veniva quindi collocato di fianco al letto come comodino. La bandirola, accessorio piuttosto ricercato, era una cintura per lo più di seta usata dalle donne per ornamento. Indispensabile, soprattutto nelle campagne, era la rosetta, ovvero farsettino di panno lino, cotone o lana che si porta sotto gli altri abiti per difendersi dal freddo. Infine, il camelotto altro non era che un tessuto di pel di capra d’angora.

Foto di copertina: Francesco Gonin Promessi Sposi (fonte Wikipedia

Laura Invernizzi

Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA
Giornalista, realizzatrice e voce narrante della sezione "Podcast"

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