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Comportamenti contrari alla pubblica moralità (testo e podcast)

Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 9 novembre 2007

Non è facile trovare, nella documentazione storica, descrizioni di usi e costumi del popolo, poiché più si arretra sulla linea del tempo più le testimonianze rimaste si riferiscono a vicende ufficiali i cui protagonisti sono personaggi di alto rango, collocati nelle posizioni di maggior rilievo della scala sociale. Sono invece i documenti di matrice o ambito ecclesiastico a fornire le maggiori informazioni sulle abitudini, soprattutto su quelle ritenute immorali, della gente comune, perché a correggere quei comportamenti era dedicata l’attenzione dei ministri della Chiesa.
Il carteggio di S. Carlo Borromeo, che contiene lettere dal 1565 al 1584 e di cui un saggio di Mario Comincini * riporta una interessantissima sintesi per quanto riguarda la pieve di Corbetta, è ricco di informazioni su questo tema. Diversi erano i comportamenti, individuali e collettivi, additati come contrari alla pubblica moralità ed ai precetti della Chiesa. Per un popolo di contadini, la vita di tutti i giorni non era semplice, e poche erano le occasioni per distogliere il corpo e la mente dalla routine del lavoro quotidiano; la domenica e le festività in genere erano quindi vissute come una sospirata parentesi, e spesso le occasioni di divertimento sfociavano in inevitabili eccessi. Tra le manifestazioni di vita sregolata figurano quindi per prime le intemperanze durante le festività, specificamente quelle natalizie, consistenti in “abusi del gioco, crapula e dissolutezze”; poi c’erano le “balorderie” nella prima domenica di quaresima da parte di coloro che volevano prolungare il carnevale; infine erano soggetti a punizioni ecclesiastiche i giocatori di sbaraglino (gioco d’azzardo di derivazione romana praticato con due dadi e trenta pedine). Particolarmente riprovevole era l’insolenza dei giovani dissoluti che, durante gli uffici divini, continuavano a giocare e a fare tumulti davanti alle chiese. 
Era questa l’abitudine immorale forse più diffusa e di difficile estirpazione. I giovani oziosi che si dedicavano ai giochi e ad altre pratiche disoneste nella piazza della chiesa erano oggetto di pubblica riprovazione e di forte biasimo da parte delle autorità ecclesiastiche. 
A poco tuttavia valevano le minacce di punizioni; nonostante le raccomandazioni di S. Carlo, ancora nella visita pastorale del 1603 alla parrocchia di S. Martino in Magenta si raccomandava ai parroci di prodigarsi “affinché il popolo veneri i giorni festivi” e di badare che “in questi giorni non vi siano né spettacoli, né ludi pubblici avversi alla pratica, né si giochi al ludus pilae maioris (un non meglio precisato gioco del pallone), dal quale soprattutto i fanciulli ma anche gli altri fedeli sono distolti dalle pratiche di chiesa, con massimo danno per le coscienze”. Ai parroci era dato poi compito di curarsi che “gli abitanti non si dedichino a cose dannosissime, giacché frequentemente si recano in osterie e bettole, dalla qual cosa vengono spalancate le porte verso delitti, furti, e altri mali e malefìci”. 
E siccome “per estirpare questi abusi e questi mali” giovava soprattutto la frequenza ai sacramenti, i parroci erano tenuti a vigilare affinché i fedeli vi partecipassero e fossero così muniti “contro la malvagità del diavolo”. 
La violazione all’obbligo di santificare il giorno festivo poteva portare a provvedimenti molto gravi, come l’interdetto, da cui si poteva essere assolti solo dal cardinale in persona; la violazione più frequente al precetto festivo era dovuta allo svolgimento di attività lavorative (soprattutto agricole) nel giorno di precetto (abitudine fortemente contrastata dal Borromeo), ma la più intensa attività repressiva era rivolta verso coloro che “ballano e suonano in giorno di festa”. La pena comminata poteva in questo caso prevedere anche una pubblica penitenza. 
Suscita oggi il sorriso uno dei più diffusi comportamenti ritenuti a quel tempo contrari alla moralità familiare; era infatti motivo di colpevolezza il far dormire coi genitori i figli fino ad un anno di età, poiché questa abitudine sfociava frequentemente in casi di soffocamento. 
Per ovviare a questo rischio “di natura corporale” erano stati prescritti nel Concilio Provinciale IV del 1576 i “cunelli”, cioè piccole culle da collocare nel letto dei genitori; la violazione di quest’obbligo prevedeva punizioni “di carattere spirituale” e addirittura la scomunica, anche se i parroci mostravano poi scarsa severità nel punire i trasgressori, vista la difficile opera di convincimento presso le famiglie contadine.

*Mario Comincini “Il territorio tra Milano e il Ticino. Studi storici: società economia arte” (In Curia Picta, 2007)

Immagine: Theodoor Rombouts “Card and Backgammon Players. Fight over Cards” (fAFPsOyKpYXCcw at Google Cultural Institute maximum zoom level, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22146343)

Laura Invernizzi

Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA
Giornalista, realizzatrice e voce narrante della sezione "Podcast"

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