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Confraternite maschili nel 700 (testo e podcast)

Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 6 luglio/agosto 1996

Proseguiamo l’indagine sulle confraternite settecentesche che animavano la vita religiosa e non della comunità magentina.
Si è detto (qui) dell’animosità che caratterizzava i rapporti tra i due rioni in cui era divisa Magenta, il primo aggregato intorno alla chiesa di S. Rocco, l’altro che faceva capo alla parrocchia di S. Martino.
La rivalità si esprimeva nella partecipazione alle Confraternite, o Scuole come altrimenti venivano chiamate, solite contendersi, con risultati alterni, la posizione di preminenza in ogni apparizione pubblica di carattere tanto laico quanto religioso. Le vicende settecentesche delle due Confraternite maschili di Magenta sono tutt’altro che tranquille, ed ebbero come esito la scomparsa di una delle due Scuole. Un primo accenno alla latente rivalità tra la Confraternita del Santissimo, costituita nella parrocchiale, e quella di S. Rocco, più piccola e rissosa ma di fondazione più antica, si ha nel 1743, quando un uomo cauto come Giuseppe Monti, personaggio di pubblica notorietà avendo per anni ricoperto l’incarico di tesoriere ed esattore della Comunità, dettò nel suo testamento alcune precise disposizioni da attuarsi al momento delle ormai prossime esequie,’ volle cioè che il suo feretro venisse sorretto “da quattro confratelli delle due Confraternite, due scolari ognuna, con un abito per metà rosso e per metà bianco; e se mai tra di esse succeda dispiacere, che intervengano pure tutti unitamente, cioè procedendo alternativamente due di una scuola e due dell’altra, e così successivamente“.
E furono proprio le discussioni sul colore dell’abito a innescare una spirale di rivalità dalle nefaste conseguenze; nel 1769 gli scolari di S. Rocco, in virtù della loro più antica origine, si decisero a rivendicare per la propria Scuola il diritto ad indossare la veste rossa sopra l’abituale abito bianco nella processione solenne del Corpus Domini, la più importante del calendario liturgico. L’abito rosso, ritenuto più importante, era invece abitualmente indossato dai confratelli del Santissimo, che in questo modo intendevano sottolineare la maggior importanza della chiesa in cui si riunivano. Non era la prima volta che si rischiava la lite per questioni che a noi sembrano esclusivamente formali, ma che per la sensibilità dell’epoca erano ben più di una mera questione di colori: si trattava di dirimere una questione in merito alla “leadership” di una parte della cittadinanza nell’ambito dell’intera comunità.
Nelle precedenti occasioni era stato l’arbitrato dell’uomo più influente del borgo, il conte Francesco Saverio Melzi, a dirimere le questioni placando l’animosità, che era tuttavia rimasta latente, pronta a riesplodere quando il Melzi, ormai passato a miglior vita, nulla più avrebbe potuto. Nel 1769 intervenne allora la Giunta Economale, l’organismo che a livello statale si stava occupando del riordino di tutto il settore religioso dello Stato di Milano, e che come normale modalità d’azione ricorreva alla soppressione delle realtà scomode o ritenute inutili al bene pubblico. Ben più severa di ogni arbitro locale, la Giunta Economale procedette senz’altro alla soppressione di entrambe le Confraternite, motivando il divieto ad ogni riunione, di qualsiasi tipo essa fosse, con la necessità di tutelare l’ordine pubblico ed il quieto vivere. Per evitare che gli animi ardenti dei Magentini sfogassero la rabbia in manifestazioni pericolose, venne dato incarico al Vicario Generale della Chiesa milanese di erigere in Magenta una nuova Compagnia, in sostituzione delle antiche, col nome del Santissimo e senza facoltà di possedere alcun bene patrimoniale; segno distintivo sarebbe stata la veste di tela bianca coll’impronta del pane eucaristico e una “pellegrina” rossa, da indossarsi da un numero limitato di scolari e solo in particolari occasioni.
La soluzione, pensata lontano da Magenta, si rivelò del tutto inadeguata e, volendo far convivere le opposte fazioni, le controversie ed i furori, lungi dall’essere blanditi, si esasperarono, giungendo addirittura a preoccupare il governatore di Milano, conte Firmian, che non poté far altro che sciogliere da lì a qualche anno anche la nuova Confraternita.
Dovettero passare circa vent’anni, perché nel 1791, in un mutato clima politico e sociale, venisse autorizzata la riedificazione della Confraternita del Santissimo, con conferma dell’antico statuto e dell’abito rosso, ma solo “a patto che si mantenga estranei agli scandali di 20 anni orsono“. Nulla da fare invece per la Scuola di S. Rocco, nonostante la supplica presentata; giocò a loro sfavore l’aperta opposizione del parroco che, all’accusa rivolta dagli “zelanti di S. Rocco” ai confratelli del Santissimo, “di voler vestire l’abito rosso per vanagloria“, rispose accusando quei fedeli di spirito di secessione ed opposizione alla sua opera pastorale. D’altra parte il parroco poteva farsi forte dell’appoggio che la riforma ecclesiastica varata nell’Impero Asburgico assegnava alle strutture parrocchiali nei confronti delle altre chiese sussidiarie. In aggiunta alle accuse del parroco, secondo cui “quelli di S. Rocco farebbero meglio a comportarsi da buoni cristiani invece di curare le frivolezze dei colori, per recare qualche sollievo ai miserabili che in questo paese pur troppo si trovano in gran numero“, il Regio Visitatore affossò per sempre le speranze degli ex scolari di S. Rocco, e nel rinfacciare loro addirittura di “destinare le elemosine raccolte per celebrare funzioni irregolari“, negò loro qualsiasi possibilità di far rinascere l’antica Confraternita.

Immagine: Galli A. (1938-1940), San Carlo istituisce le confraternite di Rancio nel 1566 (da https://beweb.chiesacattolica.it/)

Laura Invernizzi

Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA
Giornalista, realizzatrice e voce narrante della sezione "Podcast"

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