Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 3 aprile 1994
Nella seconda metà del XVI sec., per iniziativa di parroci e fedeli, vennero fondate alcune confraternite; esse ben presto divennero i luoghi privilegiati, se non esclusivi, della partecipazione alla vita sociale dei Magentini.
Fu il Concilio di Trento a dare il via a questo fenomeno aggregativo, con l’intenzione di riportare la pietà popolare a gesti concreti di venerazione e di partecipazione diretta ai misteri della fede. L’adesione alle confraternite, chiamate anche Scuole per la loro finalità educativa, e i precisi rituali adottati nelle pubbliche processioni, avrebbero aiutato il fedele a vivere personalmente la presenza dei divino nella vita terrena. L’esistenza a Magenta di due chiese di pari importanza presso il popolo, quali S. Martino e S. Rocco, portarono alla contemporanea creazione di due confraternite: l’una del Santissimo Sacramento, legata alla parrocchia di S. Martino, ed incaricata in particolare del decoro degli altari, della cera, delle processioni e veglie eucaristiche; l’altra dei disciplini di S. Rocco che si fregiava di un origine più antica risalendo Ia sua fondazione al 1571. L’opposizione, che trovava una sua ragione precisa nella divisione in contrade e rioni del borgo magentino, viveva anche su aspetti formali: i disciplini di S. Rocco vestirono la veste candida, mentre i confratelli del Santissimo ostentarono una veste rossa, distintiva a loro parere di una posizione di preminenza, legata alla maggior importanza della parrocchia di S. Martino. La tendenza dell’epoca, che attribuiva all’aspetto formale, alla celebrazione solenne ed all’esteriorità del culto un’importanza esagerata, fomentò la rivalità delle due Scuole, tanto che nel corso degli anni si perdettero in parte gli originali contenuti religiosi, che avevano visto gli scolari affiancare i sacerdoti nelle opere di assistenza, di elemosina, di beneficienza e di devozioni. Accanto a queste due confraternite popolari, una terza, parimenti antica, la confraternita della Vergine del Rosario, raccoglieva elementi socialmente più distinti. Faceva capo all’altare della Vergine in S. Martino, ed aveva il compito della processione mensile, della recita della Salve Regina ogni sabato, della preghiera collettiva nei giorni di festa. La confraternita del SS Rosario in un primo tempo accettava solo magentini, ma si aprì col passare degli anni anche ai forestieri, come il feudatario conte Melzi; gli scolari vestivano nelle processioni la veste celeste. La litigiosità delle confraternite popolari raggiungeva l’apice quando, nelle pro-cessioni e nelle occasioni solenni, esse si disputavano il diritto ad occupare i primi posti o a reggere il crocefisso e il baldacchino. Quanto i Magentini dessero importanza alle loro due Scuole laiche è testimoniato dalle regole che spesso i morituri dettavano nei loro testamenti, per evitare l’accadere di dispute nei cortei funebri che li avrebbero accompagnati nell’ultimo viaggio. Nel 1769 l’ennesima disputa per il diritto all’abito color porpora nella processione del Corpus Domini fu il pretesto per il radicale intervento del governo austriaco; esso, convinto che le confraternite altro non fossero che “caliginose eredità delle forme di religiosità medioevale, zeppe d’ignoranza e fondate su privati interessi, e qualche volta infette d’un principio di superstizione“, intervenne con un provvedimento di sospensione delle due antiche Scuole, al posto delle quali ne venne creata una avente veste di tela bianca, recante l’impronta del pane eucaristico, e con il diritto alla pellegrina rossa (un piccolo mantello) solo nelle occasioni solenni. Accolta con freddezza, questa confraternita “di stato” durò solo pochi anni, poiché nel 1791 il popolo magentino ottenne dall’arcivescovo di Milano di riavere la confraternita del Santissimo, con conferma dello statuto e dell’abito rosso, ma “a patto” che si tenga “estranea agli scandali di vent’anni orsono“. La riforma ecclesiastica dell’imperatore Giuseppe II, che accordò netta preminenza nell’organizzazione religiosa al ruolo delle parrocchie, costò invece la definitiva soppressione alla Scuola di S. Rocco. Gli adepti, accusati di non comportarsi da buoni cristiani, di curare troppo le frivolezze dei colori e di avere addirittura destinato le elemosine raccolte per celebrare funzioni irregolari, dovettero abbandonare ogni speranza di veder risorgere la loro confraternita.
Esistevano a Magenta anche altre strutture a scopo caritativo, simili alle confraternite, ma più assimilabili alle odierne associazioni. Tra queste la Scola dei morti e la Compagnia della carità dei morti, fondata nel 1649, “che consisteva unicamente in un tesoriere che raccoglieva da ciascuno degli iscritti l’elemosina annuale, ed alla loro morte pagava l’importo del funerale ed officio funebre“; ed ancora la Compagnia della Santa Croce, “che altro non possedeva che la croce di pietra all’angolo della strada per Ossona“.
Da ultimo le Compagnie della dottrina cristiana, che coadiuvavano i sacerdoti nella catechesi, con dispute e narrazioni di esperienze vissute; ne esistevano due per le femmine, con sede l’una nella chiesa di S. Anna e l’altra nell’oratorio di S. Maria della Pace presso la chiesa della Visitazione, ed una per i maschi, ai quali l’ampiezza della chiesa parrocchiale aveva consentito di non procedere a pericolose divisioni.