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Dai nonni ai nipoti, alla ricerca delle parole e… degli Amori perduti ! (video)

El canton del dialètt – Més de Giùgn 2022
Al cantòn dal dialètt – Més da Giùgn 2022
(le parole in azzurro sono scritte in dialetto magentino)

April nanca un fil,  Màgg adàsi adàsi, Giùgn slarga ‘l pùgn!

Nelle pillole di saggezza popolare dei vecchi proverbi dialettali si raccomanda di non alleggerirsi del vestiario nel mese di Aprile, di non togliersi neanche un filo; il cambiamento di temperatura è imprevedibile. A Maggio adagio adagio, non ti fidare, usa cautela, a volte i primi caldi sono ingannevoli… ma a Giugno, allarga il pugno, puoi fare quello che vuoi perché è giunta l’Estate!

In effetti, pensando al mese di Giugno, si respira il cambio di stagione… finiscono le scuole, si pensa alle vacanze, le serate sono piacevoli ed è tutto un fiorire di iniziative. Noi poi, nella nostra città, cominciamo con la Rievocazione della Battaglia e proseguiamo per tutto il mese con il Giugno Magentino.

Quest’anno però, qualche pensiero turba le feste… pensieri di guerra, immagini di distruzione e di sofferenza per tanta gente. Anche quel 4 Giugno 1859, pur significativo nel suo valore storico, per tante persone, non poteva essere un giorno felice. Per quanti combattono e per quelli che subiscono l’orrore di un conflitto, non può essere felice un giorno di guerra. In questo anniversario della Battaglia celebreremo i 150 anni del nostro Ossario, scrigno di vite spezzate, ricordo di vincitori e vinti, inno alla pacificazione, lingue diverse riconciliate. Se pur inoffensive, non daremo voce alle armi della Rievocazione Storica della Battaglia, daremo voce alle preghiere, alle richieste e alla speranza di Pace.

Dopo questa doverosa divagazione ritorniamo “Al nost Giùgn” , tempo di mietiture: Giùgn el folcin in pùgn – Giùgn al fulcin in pùgn. E’ il ricordo del duro lavoro fatto a mano con la falce, dei grandi covoni raccolti e portati sull’aia col carretto quando non esistevano ancora le macchine agricole. Alla sera i mietitori erano tanto stanchi che si addormentavano ancor prima di dire le preghiere: In temp da segaria (mietitura), sa dìs no né pater né avemaria.

LINGUA : càmisa (camicia)
Parlando del mese di Giugno e dello svestirsi, è ritornata alla mente la frase : fà sù i manegh de la càmisa – fà sù i manigh da la càmisa
gesto legato ai primi caldi ma anche sinonimo di mettersi al lavoro, darsi da fare. Entra così in gioco nel dire dialettale “la càmisa” usata in diverse espressioni e modi di dire. Vediamo alcuni casi:
trà foeura la càmisa – togliersi la camicia
vèss cùu e càmisa – andare insieme  d’amore e d’accordo
dà via la càmisa – essere generoso, caritatevole
restà in càmisa – restare sul lastrico, diventare povero
nàss cont la càmisa – essere fortunati
càmisa de stòrg  – camicia bagnata di sudore
oeuv in càmisa – uova cotte nell’acqua bollente
manscion de la càmisa – polsini della camicia

 MODI DI DIRE *
Anche questo mese, vediamo un paio di modi di dire che ricorrono anche nel nostro dialetto:
L’è on taja e medega.
Chi taglia fa del male, chi medica guarisce e fa del bene. Dalla contraddizione insita in queste due azioni, l’una contraria all’altra, il popolo ha tratto in felice sintesi l’immagine dell’ambiguità umana. L’è on taja e medega si dice di persona ambigua che prima compie una cattiva azione, poi fa l’atto di pentirsene e di voler riparare al male compiuto. È un apprezzamento negativo.
Sembra che questa locuzione risalga al tempo in cui i medici non eseguivano interventi chirurgici, ma davano istruzioni ai barbieri, assai spesso avveniva che un inabile cerusegh operasse con eccesso di disinvoltura e fosse poi costretto a rimediare alla meglio, tamponando e cucendo la grave ferita causata.
Var pussee la lappa che la zappa!  ( la sapa)
La lappa è la chiacchiera, l’abilità nel raccontare, nel fiorire un aneddoto, nel valorizzare le cose che si dicono e quindi se stessi. Questo detto nella saggezza del popolo ammonisce che le chiacchiere, nella vita, valgono spesso più dei fatti, più del lavoro, anche se si tratta del faticoso lavoro di chi usa la zappa.
*(da Gianfranco GANDINI – Accademia del Dialetto Milanese – www.sciroeu.it)

 …E CHI LO SA?
Direi che questa parte della rubrica è ormai quasi esclusivamente dedicata al dialogo col nostro amico (…se mi consente l’appellativo) Carlo FURBELLI. Io domando e lui risponde con precisione e con gustosi aneddoti. Dobbiamo ringrazialo per quanto ci racconta sulla parola dialettale del mese scorso: petàscioeu – pitàscioeu
Il mio primo impatto col termine in questione è stato in quel di Magenta.
Frequentavo le scuole medie e mi ero fermato in cartoleria a comperare, per il compito in classe che mi aspettava, il classico foglio protocollo – mi sembra costasse dés franc – dieci lire.
Probabilmente, vedendo la mia faccia un poco tesa, la cartolaia mi fa:
“Nan, ta trèma al pitàscioeu, eh?”
E senz’altro non si riferiva al cervello, anzi!

Dopo il compito in classe di latino o forse di italiano ma certamente non di dialetto, mi sono informato dalla wikipedia di allora – la vox populi, vox dei – che, per definizione era ed è infallibile.
Orbene il pitàscioeu corrisponde al ventriglio, una porzione dell’apparato digerente di insetti, lombrichi, molluschi, uccelli e coccodrilli (sì, coccodrilli) dove la triturazione del cibo avviene mediante la muscolatura della sua parete interna.
Indica anche la porzione dello stomaco in corrispondenza della regione pilorica.
Possiamo anche sentire, ormai di rado – me ven sù el petàscioeu – mi fa ribrezzo.
E petàsc vale anche per pancia, buzzo: Andèmm a empienì el petàsc.

Alcuni, in tempi antichi e tuttora, lo riferiscono pure all’abomaso, il quarto stomaco degli animali e difatti sono note ed apprezzate le interiora di animali macellati, sia grossi (bovini) che medi (suini) che piccoli (agnelli e capretti).
Beh, in cucina, il ventriglio dei pennuti è detto anche perdée – pardée da noi, in italiano, mi sembra anche durelli ma non sono di mio gradimento.
Finiamo con un – vèss un seccaperdée – essere un seccatore, un rompiscatole.
Uhm, dimenticavo… Il Cherubini la considerava anche una specie d’erba detta Hypocaris radicata … in pratica la costolina giuncolina o erba piattello … insomma il falso dente di leone.

Aggiungo solo un ricordo d’infanzia, quando i polli si vendevano con le interiora e la pulitura si faceva in casa. In particolare io aspettavo la pulitura del pardée perché nel racconto dei miei vecchi si diceva che una volta tra gli immancabili sassolini presenti, fu trovato anche un anello! Di questa pulitura che toglie le pietruzze, è rimasto un significativo vecchio modo di dire milanese: raspà ‘l petàscioeu  cioè rinfacciare i torti a qualcuno, come per dire, togliersi qualche sassolino dalla scarpa…

La parola dialettale di questo mese è: spitinfia o pitinfia .
Non l’ho trovata sui vocabolari ma da noi è ancora spesso usata… il significato? Sono curioso delle risposte e dei vostri ricordi in merito!

 Damàtrà… Consigli
Per quanti fossero interessati a gustare la nostra parlata dialettale  e approfondire i dialetti del milanese:
RADIO MAGENTA – La Musica dal Dialett
https://soundcloud.com/radiomagenta/la-musica-del-dialetto
Carlo FURBELLI  -“Dialett dal Cason e oltar…” https://www.facebook.com/groups/dialetto.casonese

Per le vostre risposte, i vostri ricordi o gli interventi scrivete a: 
info@magentanostra.it 
o https://www.facebook.com/magentanostra 

(bibliografia: C.Beretta “A lezione di grammatica Milanese”- C.Comoletti “I mestee de Milan”- “Vocabolario Milanese-Italiano” edizioni di G.Banfi – di F.Angiolini –  di F.Cherubini – WEB: Wikipedia – Accademia della Crusca – Canzon.Milan.it – Milano Free.it – www.sciroeu.it – foto Internet rielaborate e con autore sconosciuto)

 

 

 

Davide Cattaneo

Collaboratore di MAGENTA NOSTRA.
Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA.
Realizzatore, curatore e voce narrante della sezione "El canton del dialett".

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