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Dai nonni ai nipoti …alla ricerca delle parole perdute …nel Vent! (video)

El canton del dialètt – Més de Màgg 2022
Al cantòn dal dialètt – Més da Màgg 2022
(le parole in azzurro sono scritte in dialetto magentino)

Màgg l’è un gran bel més: ròs, magiòster e scires!
Màgg l’é un gran bel més: ròs, magiustar e scires!
Maggio è un gran bel mese: rose, fragole e ciliegie!

Così si presenta il mese di Maggio nella sua bellezza e nei vivi colori della sua frutta.
Questo è il Mese delle Rose, tradizionalmente dedicato alla Madonna: ”Rosa Mistica” e alla recita del S.Rosario.
Il nome “Rosario” è un evidente richiamo alle rose e ”come questi fiori donati all’amata, sono le Ave Maria offerte alla Madonna”. 
Questa pratica devozionale, nata nel Medio Evo, si è sviluppata a partire dal XVI secolo legandola al mese di Maggio.
“ In un tempo in cui le celebrazioni liturgiche non erano comprensibili da tutti, poiché avvenivano in latino, le preghiere rivolte alla Madre di Dio assolvevano anche il compito di ravvivare e radicare la fede cristiana nella sensibilità popolare…
Nell’Ottocento e nel Novecento vi è stata una serie di apparizioni mariane che ha contribuito alla diffusione di questa preghiera: a Fatima, tra l’altro, la Madonna apparve ai pastorelli Lucia, Giacinta e Francisco tenendo in mano un rosario…
Dopo una giornata d’intenso lavoro, raccolti nella quiete serena delle pareti domestiche, genitori e figli si riunivano intorno ad un’immagine della Vergine Santa per pregare il santo Rosario. Gli anziani innalzavano la loro preghiera nel pieno della loro maturità, i fanciulli imparavano, pregando, ad amare la famiglia, prima chiesa domestica. E la benedizione di Maria pioveva abbondante sui cuori di tutti. Il Rosario in famiglia era uno degli atti più solenni e preziosi della vita familiare…”
(le citazioni sono tratte da https://www.lavocedialba.it/)

LINGUA : màn (mano)
Pensando al S.Rosario che un tempo si diceva coi màn in oresion (cun i màn in urasion) con le mano giunte, il pensiero è corso sulla parola màn e ai modi di dire, alle diverse espressioni che in dialetto la convolgono:
tirà a màn – addurre, mettere innanzi (se te tìret à man)
borlà foeura de màn – cadere dalle mani, farsela scappare
borlà in di màn – cadere in mano, in potere di qualcuno
vèg i màn ligaa – avere le mani legate, non poter fare quel che si vorrebbe
tegnì i màn a cà – non toccare
fà sù la màn – abituarsi, prendere pratica
fa màn bàsa – rubare, disperdere
vègh i màn bùs – avere le mani bucate, spendere e spandere
vègh a la màn – avere alla mano, pronto, comodo
vègh i màn da pastafròla – avere le mani di pastafrolla, non tener saldo
purisnà i màn – prudere le mani, voglia di picchiare
vèss o mètes in di màn – affidarsi, rimettersi a qualcuno
parlà a la màn – parlare alla buona
dà màn forta – prestar mano, aiutare
vung i màn – ungere le mani, offrire denaro per ottenere favori
mètt la màn in del foeug – mettere la mano nel fuoco, garantire verità
giò o foeura de màn – scomodo, distante dal centro, remoto
dà la bona màn – dare la mancia
E per finire, mentre è benedetta la mano che elargisce e che fa così anche domani (benedèta quèla màn che la fà inscì anca duman), quella del gioco manesco rende il gioco una villania (gioeug de màn, gioeug de vilàn) e dal villano, anche se gli fai del bene, non ci si può aspettare niente di buono (a fà ben al vilàn se troeuva cagaa in màn)

 MODI DI DIRE *
Nelle ricerche di questo mese, mi sono imbattuto in alcuni modi di dire dialettali che mi sono piaciuti e che vi propongo:
Andà giò piatt.
Piatto vuol dire piano, liscio, semplice: Andà giò piatt significa andare via liscio, scorrevole, senza complicazioni. A Milano, quando un interlocutore vuole complicare le cose semplici, specialmente per nascondere la verità o per non rivelarla completamente, può capitare che un ambrosiano lo inviti alla chiarezza in una forma un po’ ruvida dicendogli: Và giò piatt!
Vegnì giò de la pianta.
Il suo significato è: svegliarsi, mettere i piedi per terra con evidente allusione alla vita campestre che, secondo la gente di città, abitua ad una certa lentezza. Volendo scuotere la lentezza di un amico gli si dice bonariamente: dai, che l’è l’ora de vegnì giò de la pianta!
Son foeura di strasc!
Antico detto per esprimere indignazione, me l’hanno fatta troppo grossa! Sono fuori di me. Il detto ha una origine singolare, infatti una delle prime manifestazioni di pazzia è quella di levarsi i panni, come fece Orlando quando divenne furioso. Gli abiti, per il popolo, sono poveri panni, strasc, e perciò il detto significa sono fuori dime, sto per impazzire.

 *(da Gianfranco GANDINI – Accademia del Dialetto Milanese – www.sciroeu.it)

 …E CHI LO SA?
Eccoci alla spiegazione della parola dialettale del mese scorso: spegàsc (spigàsc) e a quanto ci racconta il nostro …corrispondente: Carlo FURBELLI che ancora una volta ringrazio!

“… ecco, io ho sempre detto sbigàsc.
Non fa nulla; in italiano, naturalmente, è scarabocchio e già l’italica etimologia dà belle soddisfazioni di suo. Per la verità, da noi e ai miei tempi, gli spigàsc in dialetto non erano molto di moda.
Ad esempio nel 59/60 mi era impossibile con la penna che si intingeva nell’inchiostro del calamaio, ed anche a causa della mia maestra Rosina Viola che non lo permetteva.
La mia maestra veniva da Magenta per insegnare a Casone dove frequentavo le elementari e ci veniva cul só Aquilòtt 48.
Si poteva spigascià qualcosa cun l’apis (n.d.r. detto anche lapis tutto attaccato per accontentare tutti i linguisti) o le matite colorate ma cercavamo di tenerle da conto usando poco el guzzaapìs (temperamatite), tuttalpiù bausciandole (inumidendole) leggermente sulla punta.
Ah, un piccolo aneddoto sul termine spigàsc.
Anni fa lavoravo in banca ed era uso comune, in occasione delle festività di fine anno, omaggiare i clienti con agende e calendari.
Orbene, arriva la sciura B:
Carlo, sum vignü chì a ritirà i bon fèst, ch’el ma dàga dó agend!
Dóo? Cusa la deva fà, sciura B.?”
A devi fà spigascià i mé tusanétt!”
Negli successivi le agende calarono notevolmente di numero, le agenzie di banca pure.
Nel 1896 o giù di lì a Milano “Dì su di spégasc” valeva anche come “dire delle porcherie” e “Fà un spègasc” come “far una sconciatura”
Come riportato in alcuni vocabolari di milanese a spégasc si possono associare, oltre ai significati citati,  il significato di macchia d’inchiostro sulla carta o anche una disegno brutto, un quadro che non piace: l’è minga on quàder, l’é on spégasc !

E veniamo alla parola dialettale di questo mese: petàscioeu (pitàscioeu). Cosa sarà mai?
…Resto sempre in speranzosa attesa di leggere le vostre risposte e  i vostri ricordi!

 Damm  à trà… dam-àtra… CONSIGLI
Per quanti fossero interessati a gustare la nostra parlata dialettale  e approfondire i dialetti del milanese:
RADIO MAGENTA – La Musica dal Dialet
https://soundcloud.com/radiomagenta/la-musica-del-dialetto
Carlo FURBELLI  -“Dialett dal Cason e oltar…” https://www.facebook.com/groups/dialetto.casonese

Per le vostre risposte, i vostri ricordi o gli interventi scrivete a:  https://www.facebook.com/magentanostra o info@magentanostra.it

(bibliografia: C.Beretta “A lezione di grammatica Milanese”- C.Comoletti “I mestee de Milan”- “Vocabolario Milanese-Italiano”edizioni di G.Banfi – di F.Angiolini –  di F.Cherubini – WEB: Wikipedia – Accademia della Crusca – Canzon.Milan.it – Milano Free.it – www.sciroeu.it – foto Internet rielaborate e di autore sconosciuto)

Davide Cattaneo

Collaboratore di MAGENTA NOSTRA.
Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA.
Realizzatore, curatore e voce narrante della sezione "El canton del dialett".

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