Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 4 maggio 1998
[Prendendo spunto dalla recente pubblicazione sulle origini e la storia della chiesa di S. Biagio].
Nel 2021, in occasione della ricorrenza del 3 febbraio, abbiamo riportato le parole di Madre Giuseppina Cucchetti, sulle origini e la storia della chiesa di S. Biagio. [mi sembra]
È quindi interessante approfondire la conoscenza della storia della famiglia Mazenta, strettamente legata alla storia della comunità magentina.
Il primo dato certo riguarda l’origine del nome della casata, che nei documenti del secolo XV mantiene ancora la struttura originaria di Pedegredis “de Mazenta”, unendo al cognome primitivo la notazione della provenienza geografica, aggiunta evidentemente quando la famiglia aveva cominciato a risiedere in una località diversa da quella in cui si era inizialmente affermata; in particolare l’acquisizione esclusiva del nome della località di provenienza, una volta compiuto il trasferimento definitivo verso Milano, era una consuetudine diffusa; così già nel corso del Cinquecento diventa più frequente l’uso della sola notazione geografica, ed i Pedegredi compiono la loro definitiva metamorfosi, divenendo Mazenta.
A riprova di questo passaggio, si ha la contemporanea presenza delle forme Mazenta, Maggenta e Magenta, che rispecchiano nell’incertezza del nome l’evoluzione del toponimo magentino. La nobiltà della famiglia risale al XV secolo, quando alcuni membri della famiglia “de Mazenta” vengono a trovarsi in stretti rapporti con i duchi Sforza, signori di Milano. Entrati nell’oligarchia decurionale, il ristretto gruppo dei patrizi milanesi che detenevano la possibilità di accesso alle cariche pubbliche, i Mazenta si distinsero per la professione medica e per le carriere ecclesiastiche e giuridiche.
Motto della famiglia, così come si può desumere dall’arma gentilizia la massima “sine labe” (senza macchia), inserita nello scudo in campo azzurro in cui spiccava una candida scrofa. Compiuto il salto dalla dignità locale alla nobiltà cittadina, i Mazenta intensificarono tra la fine del Cinquecento e del Seicento l’attività di acquisto fondiario in Magenta, grazie in particolare all’intraprendenza di Guido Antonio, padre di quell’abate Faustino che promosse il restauro della chiesetta di S. Biagio. Di quest’ultimo personaggio già si è detto molto, per cui riporto qui solo un episodio poco noto: Faustino dotò l’oratorio di San Biagio con una cappellania, ovvero un patrimonio fondiario tale da poter mantenere la celebrazione delle funzioni da parte di un cappellano residente; questo patrimonio, circa 280 pertiche di terreno oltre a due mulini nella Vallata ed un fabbricato adiacente alla chiesa, risultò tuttavia, alla morte dell’abate fondatore, essere fedecommissato cioè inalienabile e non scindibile dal patrimonio famigliare che doveva spettare all’erede designato.
Così Ludovico, fratello maggiore di Faustino riscattò questi beni, lasciando alla cappellania, solo l’abitazione del beneficiato, impegnandosi comunque a sostenere un legato perpetuo per messe e a realizzare le ultime volontà del fratello, l’obbligo cioè imposto al cappellano titolare di “fare scuola a 12 figli dei più poveri del borgo, cioè insegnare a leggere e scrivere“; si trattò del primo tentativo in Magenta, tutt’altro che istituzionale, di diffondere i rudimenti dell’istruzione tra i contadini. Il periodo successivo alla peste “manzoniana” fu favorevole a quelle famiglie nobili che, grazie ai proventi di attività diverse da quelle legate alla proprietà fondiaria, poterono compiere mirati investimenti immobiliari, acquistando a poco prezzo i patrimoni svalutati della nobiltà rurale in crisi.
Le proprietà dei Mazenta si estesero nel corso del Seicento, e vennero incrementate anche da un’abile politica matrimoniale, segno distintivo della famiglie in ascesa: Cecilia Rusca, Bianca Lucia Castiglioni e Laura Giussani portarono ai Mazenta terre e denaro, oltre alla possibilità di inquartare lo stemma della casata con le armi delle loro prestigiose famiglie. Guido Mazenta, figlio di Ludovico, fu provicario del Banco di S. Ambrogio, ed ottenne, grazie alla sua posizione privilegiata (non si è lontani dalla gestione privata di funzioni pubbliche) la concessione dal Banco di S. Ambrogio della riscossione delle imposte fondiarie nella pieve di Parabiago e in Magenta; divenne in altre parole cassiere di parte delle entrate della città di Milano, attività che gli fruttò molte terre, che egli accettava in pagamento di quote insolute di imposta, approfittando della situazione di bisogno dei debitori. Il prestigio della casata ebbe nel 1676 anche il riconoscimento del trono di Spagna, con la concessione del titolo di marchese da parte di Carlo II al giureconsulto Guido Antonio Mazenta “per i meriti suoi e dei suoi antenati“. Nel corso del Settecento, in ambito magentino, il nome ed il patrimonio dei Mazenta (proprietari nel borgo di un’ampia villa con giardino ubicata dove sorgeva il palazzo del cinema Centrale) furono secondi solo a quelli dei conti Melzi, con i quali d’altra parte si crearono nel 1771 saldi legami di parentela.
Giunti all’apice dell’ascesa sociale, alla dignità marchionale venne appoggiato anche il titolo feudale: Domitilla Trivulzio acquistò per il figlio minorenne Guido Mazenta, dopo averne ottenuto il matrimonio con Maria Teresa Melzi, sorella di Francesco Melzi d’Eril, il feudo di Giussano, resosi vacante per la morte del conte Barbiani.
La presenza dei Mazenta tra i proprietari magentini, pur con un patrimonio ridotto, proseguì per tutto l’Ottocento; nella seconda parte del secolo il saldo legame con la comunità trovò modo di concretizzarsi prima con la collaborazione dei Mazenta nella fondazione dell’Ospedale (1876), poi con il lascito testamentario per la costruzione della Casa delle suore Canossiane (1884). Riconoscendo l’indubbio merito della casata, la città la ricorda con la denominazione di una via, intitolata ai Mazenta nel 1953.