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Il conte Gaspare Melzi (testo e podcast)

Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 2 marzo 1998

La storia di Magenta, come d’altra parte la storia generalmente intesa, conserva il ricordo di personaggi che hanno lasciato segni particolari del loro passaggio. Nella nostra città accade di ricordare l’opera di coloro che in questo secolo, o al più nel secolo scorso, hanno legato il loro nome a momenti o imprese particolari, e d’altra parte la toponomastica conserva degna memoria solo dei grandi della storia locale e universale. Tuttavia, andando un poco più indietro nei tempi, in ambito locale si incontrano figure di uomini che sono riusciti ad emergere dall’anonimato delle masse grazie ad una particolare collocazione sociale o a particolari abilità spese per la causa comune. Così se a Magenta si ricorda con l’intitolazione di una via il conte Francesco Melzi d’Eril, duca di Lodi e vicepresidente con Napoleone della Repubblica Italiana, nulla si sa del padre di lui, conte Gaspare, penultimo feudatario di Magenta, senz’altro colui che all’interno della dinastia Melzi si legò in maniera più salda e sincera alla terra che dal lontano 1619 la famiglia deteneva con prerogative feudali. 
A differenza dei suoi avi, che avevano conservato la stabile residenza milanese, ricoprendo importanti incarichi di governo nelle magistrature cittadine, Gaspare visse, perché costrettovi ad un certo punto della sua vita, ma anche per una certa preferenza verso gli scenari tranquilli del contado, quasi esclusivamente in Magenta, nella casa che ancora oggi mostra i segni della passata grandezza, all’angolo tra le vie Garibaldi e S. Crescenzia. La sua indole particolare, estranea alle spesso contraffatte consuetudini della nobiltà settecentesca ed incapace di reggere incombenze pesanti quali l’amministrazione di un enorme patrimonio fondiario, accompagnò la decadenza economica della casata, e contribuì in prima persona alla sua stessa emarginazione dalla ristretta cerchia dei patrizi milanesi. 
Gaspare Melzi fu anche il simbolo in carne ed ossa di una nobiltà desiderosa di cambiare stile di vita (aveva studiato medicina) ma nello stesso tempo antiquata, perché lontana dall’intraprendenza e dall’imprenditorialità ormai necessaria nel mutato contesto economico delle campagne lombarde. A Magenta fu molto amato, perché non guardava ai rapporti personali e sociali con l’occhio interessato del padrone, ma preferiva la magnanimità ed i gesti gratuiti, attento più al concreto che al prestigio personale. Nella sua posizione di figlio primogenito del conte Francesco Saverio, si trovò il destino segnato, dovendo necessariamente subentrare nella gestione dell’immenso patrimonio della famiglia: terre e case in Magenta, Vittuone, Milano, nelle pievi di Gorgonzola e di Gera d’Adda. Alla prima seria verifica, le sue qualità “manageriali” si rivelarono tuttavia fallimentari, tanto che il padre si convinse ben presto di togliergli l’amministrazione del patrimonio, per affidarlo al secondogenito Giacomo. Era accaduto che il conte Francesco Saverio, assentandosi da Milano nel 1746 a motivo di affari, avesse lasciato al figlio Gaspare la responsabilità della conduzione dell’azienda, da cui la famiglia traeva, come costume della nobiltà, l’unico e indispensabile reddito. 
Nei quattro anni di assenza del padre, Gaspare fu vittima delle scaltre manovre di alcuni creditori di casa Melzi, e da essi venne convinto alla vendita di ampie porzioni del patrimonio famigliare in saldo di debiti contratti da lunga data dagli avi Melzi, e che mai avevano potuto essere estinti a causa dei vincoli apposti dai fedecommessi (l’obbligo, che solo il Senato poteva sciogliere, di trasmettere integralmente il patrimonio da una generazione all’altra nelle famiglie nobili, per conservarne intatta la dotazione). L’ingenuità del giovane Gaspare, in coincidenza con un’altra sua inavveduta decisione, un matrimonio osteggiato dalla famiglia, fu pesantemente punita dal padre Francesco Saverio, che pervenne alla gravissima decisione di interdire il figlio dalla successione, riservandogli una pensione vita natural durante.
Due intollerabili peccati di gioventù, in particolare quello di invaghirsi della bella Maria Teresa d’Eril, erede dei molti titoli ma delle scarse sostanze dei conti aragonesi, e ridottasi a dama di compagnia della moglie del Governatore di Milano conte d’Harrach. Gaspare, approfittando dell’assenza del padre, da cui non avrebbe mai avuto il consenso al matrimonio, compì il gesto che finì per segnare irreparabilmente la sua vita. Ripudiato dai famigliari, non gli restarono che la bella moglie squattrinata e la simpatia degli abitanti di Magenta, che ebbero in lui un medico caritatevole ed attento. La casa magentina dei Melzi in Contrada di Sotto venne così divisa, ed entrando da due diversi portoni, padre e figlio si ritrovarono separati nella stesso edificio, senza più alcun legame se non l’apprensione nei confronti del giovane erede Francesco, sottratto ancor giovane alla tutela del padre Gaspare per essere educato, secondo i canoni della grande nobiltà, sotto l’occhio vigile dello zio Giacomo. Nel 1777 Francesco Melzi venne insignito del titolo di Ciambellano, primo passo verso una brillante carriera politica. “La casa Melzi – ebbe a dire Alessandro Verri, intellettuale illuminista del circolo del Caffè – sempre feconda di ministri e di giurisperiti, di svegliati ed acuti personaggi, ha trovato in Francesco il più valente alfiere“. Gaspare morì qualche mese dopo aver avuto notizia della promozione del figlio; restano, a testimonianza del particolare stato d’animo di un uomo esiliato ed ormai prossimo alla morte, le parole scritte con incerto tratto di penna sul risvolto della lettera inviata a Francesco per esternare il proprio compiacimento per il successo mondano appena conseguito: “Al mio carissimo figlio Francesco, subito, subito, subito“. Sempre il Verri tratteggiò un sintetico ritratto di Gaspare Melzi: “Uomo di temperamento tranquillo e solitario, gentiluomo e campagnolo ad un tempo, visse spargendo attorno a sé aiuti e conforti ad ogni maniera di tribolati ed infermi. Ne guarì molti, ed in tutti restò il rimpianto quando quest’uomo, oscuro anello di congiunzione tra due generazioni di successo, venne a morte, nel dicembre 1777, un anno dopo il padre“. Soprattutto a Magenta fu pianto da molti, perché con lui se ne andava una mano amica, tanto preziosa quanto rara in quei tempi “illuminati” solo per i pochi che gestivano il potere.

In copertina: Stemma Melzi  – fonte Wikipedia 

Laura Invernizzi

Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA
Giornalista, realizzatrice e voce narrante della sezione "Podcast"

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