Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 5 giugno 1998
Le bandiere campeggiano sopra il portone d’accesso al Municipio; di fronte alla “casa comunale”, edificio che ospita gli uffici dell’amministrazione e – fino a qualche anno fa (ndr) – i locali per le pubbliche assemblee, il cittadino si sente al centro della vita pubblica della comunità, e lì si reca per certificare la sua condizione o per far valere i suoi diritti. Dove la sede è ancora unica, o comunque accentrata, come a Magenta, il Municipio è il cuore simbolico e concreto della comunità, il centro, in altre parole, del potere ideale e reale.
Nei secoli scorsi quest’ultimo aspetto prevaleva nettamente: ben di rado il potere era espressione del popolo, che quindi guardava alla sede dell’autorità comunale con rispetto e timore. “Municipio” è termine latino, ma l’uso che ne facevano gli antichi romani era diverso da quello correntemente utilizzato oggi: per i latini il “municipium” era un particolare tipo di città, governata da leggi proprie; un primo recupero in età moderna di tale termine si ebbe nel periodo napoleonico, quando venne varata la locuzione “municipalità della Comune di…”, e venne formata una graduatoria delle comunità in ordine al numero degli abitanti. Magenta fu municipalità di seconda classe, livello intermedio tra le grandi città e i piccoli paesi. Per il resto, il termine “municipio” per indicare l’edificio sede del Comune è piuttosto recente, usato regolarmente solo in questo secolo o al più sul finire dell’Ottocento. Prima di trovare definitiva collocazione nello stabile storico di piazza Formenti, la comunità magentina ebbe diverse sistemazioni per i suoi uffici e le sue assemblee. Le informazioni certe più antiche risalgono al 1536, nell’occasione del giuramento di fedeltà pronunciato dalla comunità magentina al nuovo imperatore Carlo V; gli abitanti si riunirono allora al cospetto del Pretore e del Console, al suono della campana, “nella stanza dove si amministra la giustizia ed in cui di solito si tengono le convocazioni e le assemblee e le riunioni del borgo di Magenta per gli affari e le decisioni della comunità“. La giustizia locale era amministrata nell’edificio del Pretorio, di proprietà demaniale prima, feudale dal 1619, comunale dal 1809. Ancora oggi la toponomastica cittadina ricorda l’ubicazione dello stabile, nel centro storico della città, proprio dove la via Pretorio, nel piegare ad angolo retto, si allarga a formare piazza Fontana, al civico n. 4.
Una successiva descrizione del 1679 descrive il “Pretorio detto il Castello, dove risiede il fante feudale, dove si congregano anche li huomini all’occorrenza, con sua campana sopra la porta maestra, con due carceri e il luogo per dare la tortura“. L’aspetto dell’edificio doveva essere adeguato alla funzione principale cui era destinato, tanto che ancora all’inizio dell’Ottocento si diceva che “la sua costruzione presenta l’apparato di una casa di forza“; era d’altronde detto “il Castello“, ad indicare tanto l’origine antica quanto l’austerità della foggia. In un periodo in cui il potere nelle comunità aveva una gestione di carattere personale e privato, non esistevano uffici ove il cittadino potesse recarsi; l’anagrafe era gestita dal parroco e non dal comune, gli atti erano protocollati dal cancelliere, che teneva poi presso di sé l’archivio, e per eventuali lagnanze era più semplice presentarsi dal nobile, padrone delle terre, piuttosto che perdere tempo con consoli e sindaci che facevano comunque l’interesse della nobiltà, quando non erano addirittura loro dipendenti. Essendo Magenta un borgo popoloso (circa 3000 anime a fine Settecento), spesso il Pretorio non era sufficiente a contenere tutti i capifamiglia in occasione delle assemblee periodiche, così si utilizzava il cosiddetto “coperto comunale”, uno spazio coperto situato nella piazza principale e adibito anche a ricovero per i passeggeri in tempo di pioggia. La riforma della pubblica amministrazione varata nel 1755 da Maria Teresa d’Austria riordinò alquanto le competenze dei diversi funzionari comunali, ed obbligò a stabilire all’interno delle comunità un luogo preciso ove conservare tutte le scritture pubbliche, che cessavano in questo modo di essere trasmesse da un cancelliere all’altro col rischio di continue dispersioni. Per la prima volta si obbligava ad identificare un luogo da destinare a centro di servizi e custodia della memoria collettiva. Probabilmente il Pretorio non poté assolvere a questo compito: è certo che quando alla fine del 1796 il Demanio francese requisì l’edifico al conte Melzi a seguito della soppressione dei diritti feudali, le condizioni di conservazione dello stabile non erano buone; l’uso che se ne fece negli anni successivi, ovvero “alloggio per le truppe in transito e per gli effetti di casermaggio [materiale per i quartieri militari]” ne peggiorò lo stato, tanto da richiedere urgenti riparazioni, attuate dall’amministrazione magentina nel 1816, al ritorno degli Asburgo. Tra i danni più ingenti, il crollo delle travi che sostenevano il soffitto della seconda prigione in conseguenza dell’eccessivo peso del metro di ghiaia sopra collocata “onde rendere più sicura la stazione dei prigionieri“. In quel periodo la sede del comune si trovava al numero civico 1, in locali d’affitto nella casa d’abitazione del marchese Mazenta – dove c’era il cinema Centrale (ndr) – non era tuttavia una soluzione ottimale, e neppure il Pretorio restaurato venne ritenuto adeguato; anzi dal 1823 esso venne affittato a privati, per poi essere venduto da lì a qualche anno. D’altra parte la scarsità di fondi propri impediva all’Amministrazione l’acquisto di una casa da destinare agli uffici comunali. Una soluzione, transitoria ma soddisfacente, venne trovata nel 1847, con la locazione ed il conseguente restauro dell’edificio della ex chiesa di S. Maria Vecchia, proprietà Fornaroli, in posizione centrale e di comodo accesso. Sfruttando gli ampi spazi ricavati dalla ristrutturazione della navata e dell’appartamento dell’ex beneficiario, nello stabile al numero civico 159, oggi via Garibaldi 2 (angolo vicolo Ancillotto), trovarono idonea sede una serie di uffici: “sala per l’ufficio dell’Amministrazione del Luogo Pio e relativo archivio: saletta e sala grande per le riunioni della Deputazione comunale; stanza per l’archivio comunale; luogo per ripostiglio degli effetti di casermaggio; locale per il deposito delle macchine idrauliche e per il corpo di guardia [i pompieri]; ampio locale per la scuola comunale“. La torre campanaria preesistente, alta 15 metri, venne rialzata fino all’altezza di 24 metri ed adibita a orologio pubblico con campana comunale; tale funzione in precedenza era stata assolta dal campanile dell’Assunta, giudicato comunque poco idoneo essendo “posto sulla corrente d’aria del borgo, per cui non di rado avviene che i raggi sonori tanto delle ore che della campana serale anziché spandersi nell’interno del paese vengono dall’aria dissipati nelle campagne esterne“.
Il trasloco degli uffici comunali nella sede odierna di piazza Formenti avvenne a seguito dell’acquisto dello stabile, compiuto nel 1898 dall’Ospedaliero e Asilo Infantile di Magenta. L’edificio assai ampio ospitò sia tutti gli uffici comunali che le due scuole, maschile e femminile. L’opera di restauro ancora in corso per l’ala est, ha costretto alcuni uffici a migrare per qualche anno a Casa Giacobbe, fino al 1994, ma ha consegnato alla città una sede prestigiosa.