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La condotta medica di fine Ottocento (testo e podcast)

Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 2 marzo 2003

L’assistenza sanitaria a Magenta, sul finire dell’Ottocento, era fornita gratuitamente a tutti gli abitanti del borgo, indipendentemente dal ceto sociale cui essi appartenevano.
Il Comune stipendiava, con retribuzioni piuttosto elevate, due medici condotti, ad ognuno dei quali era assegnata una porzione di territorio ben delimitata, denominata condotta: la condotta interna comprendeva tutti gli abitanti nelle case e corti segnate con i numeri civici dall’1 al 142 compreso; alla condotta esterna erano invece assegnati i magentini residenti nelle abitazioni del capoluogo a partire dal civico 143 e in tutte le case e cascine delle frazioni e delle campagne circostanti i nuclei abitati.
A Magenta l’assistenza gratuita non fu, a dire il vero, una novità ottocentesca, anche se l’obbligo di istituire le condotte mediche fu dato ai comuni solo dopo l’Unità; per decenni il locale Luogo Pio dei Poveri, confluito per legge nel 1862, insieme ad altre benefiche associazioni, nella Congregazione di Carità, aveva assicurato assistenza medica e farmaceutica agli abitanti che non avessero potuto provvedere con le proprie sostanze, coadiuvando, e più spesso sostituendo, l’amministrazione comunale nel pagamento degli stipendi al personale e nell’assegnazione dei sussidi agli indigenti. Negli ultimi due decenni del secolo le variazioni ai capitolati delle condotte mediche furono numerose: nel 1884, a seguito di lamentele per frequenti assenze dei medici dalle loro residenze, vennero introdotte norme più rigide, con l’obbligo di sostituzione reciproca tra i due dottori in caso di assenza occasionale e di nomina di un supplente per assenze prolungate; per far fronte alle difficoltà di reperibilità notturna, fu posto obbligo al medico di porre, almeno di notte, alla porta della sua abitazione, ed a portata di mano, “una catena o corda con campanello di richiamo nella stanza da letto, affinché sia pronto a qualunque chiamata“.
Nel 1887 l’aggiunta riguardò la necessità da parte dei medici di rilasciare le certificazioni per il lavoro dei fanciulli, in applicazione di una circolare ministeriale; ancora nel 1890 l’aggiornamento del capitolato portò a recepire le disposizioni legislative che avevano limitato la gratuità del servizio medico alle sole persone povere, introducendo un “ticket” per coloro che avevano maggiori disponibilità finanziarie; il Consiglio Comunale di Magenta varò di conseguenza una commissione “per la formazione del ruolo degli abitanti tenuti a pagare le prestazioni mediche“, composta da “cittadini probi che hanno una perfetta conoscenza delle condizioni economiche degli abitanti“.
L’anno 1890 vide anche la collocazione a riposo del medico della condotta esterna Felice Carabelli, dopo trent’anni di onorato servizio; due anni prima era toccato all’altro medico, Emilio Molteni, abbandonare la condotta per motivi di salute, connessi probabilmente a ragioni di servizio. A subentrare a queste figure storiche della Magenta ottocentesca furono Pietro Beretta e Gaetano Coli, presto sostituito dal dottor Teresio Gabbia. La durata dell’incarico ai medici era triennale, con implicita riconferma ove non sussistessero inadempienze da parte dei beneficiari. Tornando ai capitoli della condotta, i medici, obbligati a risiedere in Magenta, erano tenuti “ad assistere e curare indistintamente tutti gli ammalati del comune, nonché i poveri che tovansi di passaggio o di dimora, compresi anche i soldati di stanza e in transito, i Reali Carabinieri qui residenti, e i detenuti; come pure sarà loro dovere di prestarsi in qualunque caso straordinario o di disgrazia, fosse anche per persone estranee al comune o non appartenenti al rispettivo riparto medico“. Il medico della condotta esterna doveva trovarsi costantemente provvisto di mezzo di trasporto, “consistente in cavallo con vettura in stato di pronto e sicuro servizio“, per le cui spese di manutenzione poteva fruire di un indennizzo da parte del Comune. In caso di malattia acuta, le visite domiciliari dovevano essere effettuate almeno una volta al giorno, dovendo inoltre “replicare la visita in giornata quando il bisogno e la gravezza della malattia” lo richiedessero, animati in questa solerzia solo “dal sentimento del proprio dovere e dalla vista di meritarsi la pubblica e superiore estimazione“, senza pretesa quindi di retribuzioni straordinarie. Questa “superiore estimazione”, apertamente citata nel capitolato della condotta, non era solo una gratificazione morale, ma costituiva il presupposto per poter chiedere, una volta terminato il servizio, un assegno di pensione: così al dottor Carabelli, collocato a riposo, il Consiglio Comunale accordò “vita natural durante” una retribuzione annua di L. 350 (a fronte di uno stipendio in servizio di circa L. 2500) “attestante nel miglior modo possibile la gratitudine profondamente sentita per l’opera prestata anche in occasione di morbi contagiosi“. A tale proposito, ultima in ordine di tempo fu l’epidemia di vaiolo che colpi l’area milanese nel 1892, e che a Magenta non assunse “quel carattere letale e quella diffusione che ebbesi in altri comuni” solo grazie ai settemila innesti di vaccinazione praticati dai due medici locali.
Competeva ad essi pure l’assistenza ai parti, anche se in quegli eventi il ruolo preminente era quello delle levatrici comunali, competenti sul territorio in base alla divisione delle due condotte; nella Magenta del tempo l’incarico era ricoperto dalle signore Rosa Ghirlanda e Maria Maccastorni (dimissionaria nel 1892 dopo 38 anni di servizio, un monumento vivente per generazioni di magentini). Il parere del medico condotto era vincolante ove si presentasse la necessità del trasporto del malato all’ospedale; quando in particolare le condizioni fisiche non permettessero il trasporto, il medico doveva ordinare “colle vie della persuasione che non si abbia a tenere il trasporto, per evitare funeste conseguenze, ed in caso di insistenza informerà tosto l’autorità locale“. A proposito di ospedale, entrato in funzione a ritmo ridotto il nosocomio locale (1890), ai medici fu imposto di prestare le proprie cure ai degenti “alternativamente di due mesi in due mesi“, ma entrambi dovevano prestarsi ai consulti e per operazioni speciali in cui occorresse l’aiuto reciproco.
Per finire, un cenno sulle modalità di somministrazione dei farmaci alle famiglie povere, gestita dalla Congregazione di Carità senza onere alcuno per gli abitanti. La gratuità della distribuzione non facilitava certo la giusta parsimonia da parte dei pazienti, che spesso abusavano dei medicinali; così nel luglio del 1885, vedendo ancora una volta esaurirsi anzitempo lo stanziamento annuale di 4000 lire per erogazione dei farmaci, il presidente della Congregazione, Gaetano Biraghi, chiese al parroco don Tragella di “far conoscere dal pergamo, durante la messa della domenica” che, se non ci fosse stata una riduzione nell’uso dei medicinali, la disponibilità sarebbe presto terminata; di utilizzare quindi i farmaci solo per bisogni eccezionali, evitando di considerare “la farmacia come un caffè ristorante, come purtroppo succede“.

Immagine: The Village Doctor (via flickr)

Laura Invernizzi

Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA
Giornalista, realizzatrice e voce narrante della sezione "Podcast"

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