Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 1 gennaio/febbraio 2002
Alle motivazioni addotte dalla Deputazione comunale magentina per mantenere la Posta Cavalli nel borgo (vedi 1 parte), rispose il commissario distrettuale di Abbiategrasso, liquidando come “poco importanti” le argomentazioni portate; dalla sua missiva alla Delegazione provinciale di Pavia, da cui dipendeva il territorio magentino, veniamo a sapere che nel 1847 avevano residenza in Pontenuovo “gli impiegati di Finanza, le Guardie di Finanze, il Commissario ispettore di Polizia, due albergatori, due spedizionieri e tanti facchini di dogana, tutti con le loro famiglie colà stabilite“; nella stessa relazione vengono chiarite le ragioni che avevano suggerito alle autorità postali austriache uno spostamento della stazione postale a ridosso del ponte sul Naviglio: “Due sono i punti: già i passeggeri [in viaggio con la diligenza da Novara a Milano e viceversa] devono fare tre fermate, due all’imbocco e all’uscita del ponte sul Ticino [dove era il confine di Stato], la terza per le ispezioni di Finanza e Polizia al Ponte Nuovo; quindi il cambio dei cavalli si potrebbe fare durante la terza ispezione, prendendo anche qualche refezione, essendovi colà un buonissimo albergo, senza più fermarsi poi fino a Milano. Inoltre la Posta Cavalli di Novara chiede ai viaggiatori una maggiorazione sul costo del viaggio, per il tempo utilizzato dai postiglioni sardi per recarsi dal confine a Magenta [dove erano poi sostituiti con postiglioni austriaci]; essendo il cambio a Pontenuovo, potrebbero immediatamente retrocedere”.
La Delegazione provinciale concordò con questa posizione, ma la battaglia era ben lungi dal dirsi compiuta. Conviene qui dare qualche breve informazione sulla struttura postale dell’epoca, per quanto attiene al “ramo diligenze”, ovvero al trasporto di persone e merci con la “Regia Malleposte”. Ogni itinerario era diviso in “corse postali” o “poste”, segmenti di 8 miglia postali che in Lombardia misuravano 14.814 metri. Alle stazioni di posta, collocate l’una a distanza di circa una corsa postale dall’altra, venivano sostituiti i cavalli, che dovevano essere sempre presenti e in buono stato. Il numero delle “poste” serviva anche a stabilire il costo del servizio, tenendo presente che il numero di esse, e quindi la tariffa, poteva lievitare anche in presenza di luoghi di sosta forzata, in cui i postiglioni perdevano tempo pur non percorrendo alcun tragitto.
Era proprio il caso della tratta Milano-Novara: la prima stazione si trovava a S. Pietro all’Olmo, la seconda era a Magenta, distante tre quarti di posta da S. Pietro; da Magenta a Novara poi non c’erano altre stazioni, ma le poste erano due e tre quarti (a fronte dei 20.721 metri di distanza tra le due stazioni) proprio per il tempo perso alla dogana.
La proposta governativa, prevedendo lo spostamento della stazione a Pontenuovo (a una posta da S. Pietro), avrebbe ridotto a una posta e un quarto il tragitto da Pontenuovo a Novara, con un risparmio effettivo sull’intero tragitto di ben tre quarti di posta.
Procedendo nella convinzione di operare per il bene dei “fedeli sudditi lombardi” – ed in effetti il risparmio sulle tariffe sarebbe stato sensibile – l’amministrazione postale lombarda con sede in Verona chiese nell’agosto del 1847 al sig. Francesco De Luigi, proprietario dell’edificio di Pontenuovo destinato già dai progetti costruttivi alla Posta Cavalli, se avesse persone idonee per svolgere l’importante servizio; contemporaneamente furono indagate anche le intenzioni dei fratelli Marinoni, gestori della stazione magentina, rispetto alla volontà di proseguire l’appalto anche in caso di trasferimento.
Le offerte per l’assegnazione vennero depositate nel dicembre del 1847, secondo questo tenore: Giosuè Pizzini (albergatore milanese proposto dal De Luigi) L. 825; fratelli Marinoni, di Magenta, L. 1.500, ma a condizione che la stazione restasse nel borgo; un terzo incomodo, Pietro Polli, proprietario di un edificio a Pontenuovo, L. 100 in più del miglior offerente, o comunque L. 900.
Inoltrate a Vienna le offerte, nel maggio del 1848 ancora giacevano in attesa di evasione, ma nel frattempo le sorti politiche del Milanese erano passate nelle mani del Governo Provvisorio, ed approfittando della nuova situazione gli attori di questa disputa cambiarono le loro strategie, facendo leva sulla sensibilità patriottica dei nuovi interlocutori.
Ecco allora il Polli lamentarsi del fatto che, nonostante avesse formulato la miglior offerta, aveva trovato ostacoli presso il governo austriaco per essere lui un patriota; ed ecco ancora lo stesso patriota Polli, che presagiva di aver trovato il modo per sbaragliare la concorrenza, presentare richiesta di costruzione delle scuderie, rivolgendosi con queste parole ai nuovi governanti: “Ora, cambiate le circostanze e sorridendo a noi l’alba avanzata delle nostre nutrite speranze, ed essendomi qualificato per patriota, come di già riconobbe questo Governo nominandomi Capitano della Pubblica difesa e Commissario della Civica, vogliate compiacervi dar corso alla bisogna onde poter accingersi alla nuova fabbrica [delle scuderie]”.
Ma ecco anche i deputati magentini nel luglio del 1848 accusare con toni molto duri il precedente Governo, per aver caldeggiato il trasporto della stazione “per compiacere chiari interessi individuali“. Interessi che, a dire il vero, sfuggono dalla documentazione rimasta, e che solitamente gli Austriaci non erano abituati ad assecondare, ma certo questa accusa di “interesse privato in atto pubblico” getta una chiara luce sul punto di tensione a cui erano giunti i rapporti tra gli amministratori locali lombardi e i funzionari asburgici.
Un dato certo è che comunque nei pochi mesi di reggenza del Governo Provvisorio la decisione degli austriaci, nonostante le reiterate suppliche dei magentini, fu senz’altro confermata, venendo riconosciuta la pubblica utilità del trasferimento della stazione; rispetto a Pietro Polli poi informazioni ben diverse furono acquisite dai funzionari di casa d’Austria, al loro ritorno nel Lombardo-Veneto nell’agosto del 1848, un mese dopo l’assegnazione dell’appalto al sedicente patriota.