Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 6 luglio/agosto 2000
Tra i progetti di recupero e valorizzazione dei Navigli, c’è anche quello relativo alla reintroduzione, ad uso turistico nel tratto da Abbiategrasso a Milano, dello storico barchetto. Le vicende di questo antico mezzo di trasporto sono secolari, ed hanno riguardato in particolare il trasporto di merci, grazie ai costi di gran lunga inferiori del trasporto su acqua rispetto a quello su ruota; solo la ferrovia, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, riuscì ad entrare in concorrenza con le barche del Naviglio.
Per quanto riguarda i passeggeri, il trasporto sul Naviglio Grande venne regolamentato, come servizio pubblico, a partire dalla fine del Seicento, quando per la prima volta vennero fissati orari e tariffe. Nel corso dell’Ottocento le acque del Naviglio vissero un periodo di grande affollamento, con incremento sia del numero delle corriere sia della frequenza dei viaggi. Nel 1839 vennero censiti sei barchetti ad Abbiategrasso, due a Robecco, quattro a Boffalora e cinque a Turbigo, in servizio giornaliero per Milano con orari complementari.
I passeggeri preferivano spesso il viaggio via acqua poiché, anche se meno veloce, era certamente più comodo rispetto a quello effettuato su strada con le vetture postali; così era segnalato un consistente flusso di persone che, “arrivate al nuovo ponte sul Naviglio presso Magenta, provenienti da Novara ed adiacenze, si imbarcano sulle corriere di Boffalora e Turbigo, pur non trovando ivi né tempo né mezzi per ristorarsi e rifocillarsi“. Si rendeva necessaria così una sosta presso l’Osteria di Castelletto di Abbiategrasso per consentire ai passeggeri un breve ristoro. All’aumento del traffico passeggeri contribuì, nel corso dell’Ottocento, la necessità, per gli abitanti del Magentino e dell’Abbiatense, di recarsi a Pavia, capoluogo di provincia a seguito dell’entrata in vigore nel 1816 del nuovo compartimento territoriale della Lombardia; il viaggio stradale per Pavia si presentava assai lungo e disagevole, sballottando per oltre mezza giornata i passeggeri su strade strette e poco curate. Così i barcaioli del Naviglio Grande, tra cui tale Gio Batta Molinari, sotto custode al ponte del Ticino di Boffalora, estesero la loro attività anche sul Naviglio Pavese, facendo proseguire le corse per Milano alla volta di Pavia. Bisognava tuttavia dimostrare alle autorità che un tale provvedimento fosse necessario, ed il Molinari così scrisse alle Deputazioni Comunali della zona interessata: “I barchetti sul Naviglio Pavese riescono assai comodi e vantaggiosi, massime alla popolazione di questa Comunità, che essendo dipendente in oggetti Giudiziari e Amministrativi dalla città di Pavia, ha continuo bisogno di colà recarsi, il che ognuno può eseguire partendo da qui col primo barchetto da Blatte Grasso, ed entrando a Milano alle ore nove di mattino in quello di Pavia, dove si arriva alle tre pomeridiane, e così si pratica il giorno appresso da Pavia a Milano, dove si arriva in tempo di approfittare del barchetto di Boffalora, così che in due giorni [sic!] si va e si viene da Pavia al prezzo di L. 1,80“.
Una barca corriera, obbligatoriamente in legno di rovere, doveva essere lunga 17,50 metri e larga al massimo 2,90 metri; il barcaiolo doveva dirigerla con la pala. Il casello, nel quale i passeggeri prendevano posto su panche fisse, non doveva essere più lungo della terza parte della barca, alto al colmo 2,35 metri e ai fianchi, forniti di tre aperture, almeno 1,62 metri. La lentezza del viaggio, soprattutto nel rimontare la corrente tornando da Milano, era il punto dolente del viaggio sul Naviglio. Per rendere l’idea, la corsa che partiva alle 7,30 da Robecco arrivava a Milano attorno a Mezzogiorno; da qui ripartiva la mattina successiva alle 9, per giungere a Robecco alle 17; quello di Abbiategrasso partiva dalla Ripa alle 5 e giungeva a Milano alle 8,30, ripartendo nel pomeriggio alle 14,30 per essere ad Abbiategrasso alle 19. Il punto di maggior corrente, e quindi più lento da risalire, era tra Abbiategrasso e Robecco, ma tutto il tratto dopo Abbiategrasso in risalita richiedeva un maggior apporto di cavalli d’attiraglio. Si cercò di ovviare alla lentezza della risalita aumentando il numero dei cavalli, e la concorrenza tra barcaioli arrivò a generare situazioni pericolose, sia per i passeggeri, sia per la struttura del canale, poiché un eccessivo moto ondoso pregiudicava la stabilità delle sponde.
Nel 1841 il custode del Naviglio emanò un promemoria: “Per l’ondulazione soverchia che arrecano tanto le gondole [nuove imbarcazioni più veloci e leggere da poco introdotte in via sperimentale] quanto le barche corriere rimorchianti il Naviglio, per la quantità dei cavalli che vi si attaccano, è necessario limitare il numero alla cifra massima di quattro per ciascheduna, affinché dalla gara ora apertasi nelle corse non segua-no danni alle opere pubbliche e private del canale“.
Di norma nella discesa tutte le corriere procedevano assecondando la corrente, ed erano tirate da un cavallo solo nel tratto da Castelletto a Milano; nel ritorno erano tirate da due cavalli, ad eccezione di quella di Turbigo, che attaccava un terzo cavallo nelle vicinanze di Trezzano, poiché altrimenti sarebbe stato arduo compiere la risalita nel corso della stessa giornata.
Da ultimo una serie di istruzioni emanate nel 1810, per sanzionare una serie di comportamenti arbitrari tenuti dai barcaioli, avvezzi a non rispettare orari e a pretendere tariffe arbitrarie: “L’istituzione dei barchetti nelle attuali stazioni ha per fine principale il regolare trasporto dei viandanti. Perciò è proibito ai barcaioli di ingombrare il casello e di caricare il barchetto di derrate o mercanzie, in modo che non vi possano senza disagio e comodamente rimanere i viandanti; e sono assolutamente esclusi dai barchetti gli animali. […] Non potrà pretendersi una mercede diversa dalla Tariffa, né altro compenso per qualunque titolo, escluso anche quello del lume per la notte e del fuoco per l’inverno; e ciò senza distinzione alcuna, sia tra viandanti proprietari di derrate e mercanzie, terrieri ed esteri, sia del viaggio di giorno e di notte, sia della stagione d’estate o d’inverno. Non potrà nemmeno pretendersi compenso alcuno quando il viaggiatore abbia un piccolo involto, il cui peso arrivi a sole libbre cinque grosse di Milano [circa Kg. 2,3]. Qualora la valigia od involto eccedesse il detto peso, allora i barcaioli potranno esigere per l’eccesso la mercede in ragione della tariffa“.
Curiosa infine l’ordinanza del Custode, che nel 1839 prescrisse che fosse tolto “il pregiudizievole abuso introdotto da diverse donne di filare nella barca viaggio facendo“.