Home » La peste di San Carlo a Magenta (testo e podcast)

La peste di San Carlo a Magenta (testo e podcast)

Testo di Alessandro Colombo pubblicato su Magenta Nostra n. 7 Settembre 2007

L’epidemia di peste del 1576-77, durante la quale S. Carlo Borromeo profuse grandi energie per l’assistenza ai contagiati, colpì anche diverse località del Magentino, pur senza quelle situazioni di panico e psicosi collettiva che la peste “manzoniana” del 1630-31 avrebbe generato sia a Milano sia nel contado. Uno studio* – opera di Mario Comincini – riporta diverse notizie su alcuni episodi accaduti a Magenta in quegli anni, utilizzando come fonte il carteggio di S. Carlo Borromeo conservato presso la Biblioteca Ambrosiana e il fondo notarile dell’Archivio di Stato. 
Nel carteggio di S. Carlo sono riportate soprattutto vicende legate all’assetto ecclesiastico locale; in particolare, con lo scoppio dell’epidemia, assume rilievo la disputa, sempre latente, tra i due parroci porzionari che si dividevano la cura d’anime in Magenta, ed in particolare tra uno di questi e la fazione nobiliare che appoggiava l’altro
L’8 ottobre 1576 uno dei due curati, prete Francesco Caldiraro, scrive al Borromeo di aver somministrato, circa due settimane prima, il sacramento della confessione ad una gentildonna inferma, recandosi in casa sua. Essendo la donna morta il giorno successivo dopo soli tre giorni di malattia, il suo decesso è stato senz’altro imputato alla peste, “visti i tempi pericolosi”.
Il Caldiraro riferisce che i Deputati di Sanità magentini gli hanno allora ingiunto di starsene ritirato in casa, come sequestrato, nonostante egli abbia usato la prudenza tipica di quei tempi di non avvicinarsi mai all’inferma e di non di toccare alcunché in casa sua. Termina poi la missiva chiedendo al Cardinale istruzioni su come comportarsi, anche perché, per aver obbedito all’ordine dei Deputati di Sanità di non uscire di casa, due malati sono morti senza il conforto dei sacramenti.
Come prevedibile, l’altro curato di Magenta si schiera apertamente con i Deputati di Sanità, e quindi con la nobiltà locale, che costringe prete Caldiraro, ancora prima che arrivi celere la risposta del Cardinale, a portarsi in Milano, in pratica a fuggire, per chiedere protezione al senatore Odescalchi; grande è il disagio per la sua porzione di cura d’anime, in cui “i sospettati di peste chiedono i sacramenti, e non c’è nessuno che glieli amministri”. 
Il Cardinale, per il tramite del Vicario foraneo di Corbetta, avente funzioni di referente per i curati della Pieve, intima al Caldiraro di tornare sui suoi passi; questi obbedisce prontamente e, forte dell’appoggio del Cardinale, “amministra i sacramenti della penitenza e dell’eucaristia agli infetti e ai sospettati di peste del luogo, e molto volentieri e con molta carità”. Il Vicario non manca tuttavia di segnalare come questo suo comportamento zelante sia poco gradito ad alcuni gentiluomini locali, “che lo perseguitano e cercano nuovi pretesti contro di lui”. 
In questa situazione avversa, il Caldiraro riesce a resistere solo poco tempo, e dopo qualche giorno inizia a vendere il grano e il vino che conserva nella dispensa, e manda a Milano le masserizie e gli utensili della propria abitazione in Magenta, prefigurando un ormai prossimo e inevitabile trasferimento definitivo nel capoluogo. Il Vicario tuttavia interviene prontamente, sequestrando i beni in vendita, per garantire un vitalizio adeguato, fino al nuovo raccolto, per il successore subentrante nel beneficio parrocchiale e nella cura d’anime. 
L’8 novembre il Borromeo informa il Vicario foraneo di aver accettato la rinuncia alla sua porzione di beneficio parrocchiale da parte del prete Caldiraro, che potrà quindi presentarsi dimissionario al Vicario stesso, dopo avere chiesto, secondo l’uso, al popolo magentino di segnalare prima della sua partenza eventuali pretese o lagnanze da fare nei suoi confronti.
Nel frattempo (7 novembre 1576) è riferito al Cardinale che “le cose della peste in Magenta passano bene” (non si registravano più morti da tre settimane) e che i ricoverati al Lazzaretto sono guariti e hanno già finito la quarantena. Sempre al Cardinale viene chiesto di inviare in Magenta due monatti “a far purgare le case”, e si dice che verranno pagati secondo quanto il Borromeo stesso avrebbe ordinato. 
Le condizioni di vita dei magentini, già provati dall’epidemia, furono ulteriormente aggravate in quegli anni da due mali ugualmente endemici: la penuria di grani e il continuo passaggio di truppe in transito da Milano verso Novara. 
Si legga/ascolti un episodio dai risvolti piuttosto accesi connesso al transito dei cavalleggeri avvenuto nel dicembre del 1576 e pubblicato a fine 2021.

*Mario Comincini “Il territorio tra Milano e il Ticino. Studi storici: società economia arte” (In Curia Picta, 2007

Immagine: San Carlo Borromeo comunica gli appestati, Tanzio da Varallo – ca. 1616, Parrocchiale di Domodossola (fonte Wikipedia

 

 

Laura Invernizzi

Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA
Giornalista, realizzatrice e voce narrante della sezione "Podcast"

Archivi

Archivi

Seguici