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L’elezione del governo locale (testo e podcast)

Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 10 dicembre 1996

L’argomento è di stretta attualità, ed è quindi bene che si conoscano gli antecedenti. Nei secoli passati, non sempre l’amministrazione cittadina ha governato a seguito della libera scelta degli abitanti, ed anzi, riferendoci a Magenta, a partire dal periodo del cosiddetto “antico regime”, quando la nostra città era soggetta alla dominazione straniera, prima spagnola, poi austriaca, bisogna notare che le elezioni democratiche sono una conquista piuttosto recente. 
In quei tempi (secoli XVII-XVIII) il concetto di suffragio popolare era del tutto sconosciuto: esisteva una netta distinzione tra i ceti, e la vita politica era esclusivo appannaggio della nobiltà; al cospetto di essa, la “vil gente meccanica”, cioè chi doveva lavorare per guadagnarsi il pane, suscitava indifferenza se non disprezzo; il popolo non era considerato in grado di decidere alcunché, e si riteneva un beneficio per tutta la comunità se il governo locale era conservato nelle mani delle uniche persone istruite. Non esisteva nelle comunità locali un unico sistema di governo, perché le tradizioni ed i particolarismi trovavano terreno fertile, soprattutto in età spagnola, nelle larghe maglie del potere centrale. 
Magenta era governata da un ristretto “consiglio particolare”, struttura dirigente ufficiale che aveva tuttavia scarse prerogative, ed era costantemente soggetta al volere del ceto nobile, che agiva alle spalle delle autorità formali. Questo consiglio era formato da due sindaci rurali, un console e un sindaco nobile. Mentre la nomina di quest’ultimo spettava al feudatario, e la carica era vitalizia, gli altri magistrati erano teoricamente elettivi; la loro candidatura era proposta dai proprietari della comunità, e spettava al convocato (ovvero all’assemblea degli abitanti) sanzionare le scelte fatte dai loro padroni, scelte che assai difficilmente venivano contrastate. La durata in carica dei sindaci rurali e del console, che dovevano badare alla conservazione del patrimonio comunale e vigilare sulla giustizia dei riparti fiscali, era biennale, ma diveniva spesso pluriennale per mancanza di candidati alla copertura dei posti lasciati liberi, poiché essi dovevano risiedere nel comune e saper leggere e scrivere. Quando si presentavano situazioni particolari, o dovevano essere prese decisioni di una certa gravità, la legge prevedeva che la comunità intera si riunisse in assemblea e decidesse a maggioranza sul da farsi. Quale fosse lo spazio di decisione autonoma da parte dei rurali è chiarito da un fatto: nel Settecento, per consuetudine ormai invalsa, e per l’effettiva incapacità di districarsi nelle ingarbugliate vicende del mondo, i magentini erano soliti ricorrere ad un atto solenne, sancito dal convocato, di trasmissione delle loro prerogative ai maggiori proprietari, che divenivano procuratori della comunità ed avevano così, anche dal punto di vista formale, completa libertà di movimento. In altre parole, comandavano i ricchi, e questa a ben vedere non è una cosa così lontana da noi. Tentativi di rompere questo circolo chiuso vennero fatti da alcuni coraggiosi, ma il consenso popolare non venne mai ottenuto, visto che la maggior parte dei magentini erano dipendenti dei proprietari nobili. Fu invece la monarchia austriaca, sull’onda del cosiddetto “riformismo illuminato” a modificare la struttura amministrativa locale, improntandola ad una maggiore trasparenza e in parte ad una maggior democraticità. La riforma fu del 1755, ma venne applicata solo a partire dal 1760.
Il governo della comunità fu affidato a nuovi reggenti, in numero di cinque, rinnovabili ogni anno: tre erano deputati dell’estimo, eletti dal convocato degli estimati, cioè dall’assemblea dei proprietari di quote d’estimo, in cui il voto dei piccoli proprietari locali era equiparato a quello dei nobili milanesi; due erano i deputati rispettivamente eletti dai ruoli mercimoniali (commercianti) e personali (abitanti considerati nella loro totalità). Il predominio esercitato dalla componente dei proprietari è evidente, ma per la prima volta, molti anni prima della rivoluzione francese, e con maggior praticità e minor retorica, venne data voce anche a chi su questa terra non possedeva che la propria bocca da sfamare. Con la venuta di Napoleone, e col passaggio alla dominazione francese, vennero apportati alcuni cambiamenti, e scomparve la parvenza di democraticità portata dagli austriaci. A partire dal 1805 al sindaco, che la riforma del 1755 aveva in pratica esautorato, vennero restituite ampie prerogative di governo locale, e per questo la sua nomina fu riservata alle autorità centrali. Ai locali venne lasciato un piccolo spazio, ovvero la possibilità di coadiuvare il sindaco attraverso la partecipazione al Consiglio degli Anziani, formato da venti membri scelti tra i proprietari più ricchi. Restaurato il governo asburgico, si ritornò, pur con qualche modifica, alla precedente situazione, fino al 1845, quando il vecchio istituto del Convocato venne sostituito dal più agile Consiglio Comunale, formato da trenta membri; anche in questo caso il meccanismo dell’elezione escludeva il ceto popolare, perché per parteciparvi bisognava rientrare nel novero dei primi cento estimati del Comune, oppure essere proprietari di “rilevanti stabilimenti d’industria o commercio”. Era previsto un continuo ricambio tra i membri del Consiglio, con rinnovo ogni tre anni del presidente e di un terzo dei consiglieri, tramite elezione da svolgersi tra coloro che avevano diritto a sedere nel Consiglio stesso. Curioso il sistema di voto usato per il rinnovo dei consiglieri: la votazione era svolta con un doppio turno; ad una prima tornata erano selezionati venti papabili, che si affrontavano poi in uno scontro diretto, sulla base di dieci duple, al secondo turno. L’elettore aveva qui la possibilità di dare al candidato un voto affermativo, usando il bussolotto rosso, oppure di votare contro di esso, inserendo nell’urna il bussolotto bianco; nel computo totale questi ultimi andavano a bilanciare i voti positivi.

Immagine: Bussolotto per votazioni (fonte https://bit.ly/3kQ2XDl)

Laura Invernizzi

Membro del Consiglio della PRO LOCO MAGENTA
Giornalista, realizzatrice e voce narrante della sezione "Podcast"

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