In occasione del Dantedì – 25 marzo – giornata nazionale italiana dedicata a Dante Alighieri e nell’anno in cui si celebrano i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, riproponiamo questo articolo di Natalia Tunesi pubblicato su Magenta Nostra n. 5 giugno 2000 corredato da una photogallery dell’affresco del Teatro Lirico citato nel testo.
“La grande notizia arriva. Arrigo è partito. Sia benedetto il suo nome. (…) Dante freme. Arriverà Arrigo a Firenze? entrerà nelle belle mura? Dove l’Imperatore passa fiorisce la pace. Casale, Vercelli, Novara, Magenta, si inchinano a lui, giurano fedeltà; ogni astio tra l’una e l’altra città e tra gli stessi cittadini si dissolve, svanisce. Le plebi impazziscono di felicità, lo guardano come il Redentore“.
Abbiamo estratto questo passo dal bel romanzo di Mario Tobino “Biondo era e bello“, in cui l’Alighieri esce dai panni di autore per rivestire quelli di personaggio.
L’opera è infatti incentrata sulla avvincente biografia del grande poeta toscano, autore della Commedia. Figura umanissima di letterato e di cittadino politicamente impegnato, Dante vive in un momento di grande tensione e di trasformazione del Comune fiorentino. La Firenze dell’ultimo quinquennio del ‘200, in cui egli consuma la sua breve carriera politica, è una città lacerata tra le famiglie dei Cerchi, mercanti arricchiti di umili origini, e dei Donati, appartenenti al ceto aristocratico. Le simpatie di Dante si rivolgono ai primi che rivendicano l’autonomia del Comune dalle ingerenze papali, e ciò gli sarà fatale, in quanto subirà la condanna all’esilio e la confisca dei beni ad opera dei suoi rivali politici quando essi usurperanno il potere. La speranza di poter rientrare nell’amata Firenze, riabilitato e onorato dai suoi concittadini per i suoi meriti politici e letterari, sosterrà Dante nelle sue peregrinazioni, che lo porteranno ad offrire i suoi servigi a grandi e piccoli Signori delle Corti italiane, in cambio della loro ospitalità. La vile e precaria condizione di exul immeritus – esule senza colpa – lo costringerà a vivere con trepidazione quei segnali di rivolgimenti politici che possano ribaltare le sorti di Firenze e con esse il suo destino. Uno di questi fu offerto a Dante dalla decisione di Arrigo VII di Lussemburgo, eletto imperatore nel 1308, di scendere in Italia per essere incoronato ufficialmente a Roma.
La discesa dell’imperatore fu appoggiata con entusiasmo e con passione civile dal poeta che vedeva in tale iniziativa non solo l’occasione per il ritorno in patria, ma anche la realizzazione della sua utopia politica. Dante, al colmo del fervore, interrompe la stesura della Commedia per seguire da vicino le mosse di Arrigo VII e interviene in prima persona scrivendo delle lettere ai principi italiani, fiorentini e allo stesso imperatore. Ma la sua tensione politica non è condivisa dal sovrano il quale si attarda durante il viaggio, sosta nelle città del nord dove si fa lusingare dalle accoglienze festanti della folla e dai banchetti dei nobili. E’ l’autunno del 1310, Arrigo ha passato il Moncenisio, in ottobre è a Torino, poi ad Asti dove si trattiene a lungo, giunge a Vercelli in pieno inverno; dopo aver guadato il Po, arriva a Novara, passa il Ticino, quando “l’aere greve di neve – racconta una cronaca – cominciò ad oscurarsi e il Re si soffermò a Magenta”.
Durante questi lunghi mesi Dante aveva dovuto ancora una volta sperimentare “come sa di sale lo pane altrui” e come fosse “duro calle lo scendere e salir per l’altrui scale”, alla ricerca di un luogo dove dimorare. Come quell’indugiare di Arrigo a Magenta dovette infastidirlo! e come dovette suonare futile alle sue orecchie quel titolo di “borgo” concesso dall’imperatore all’anonimo paese! esorbitante poi trattenersi ancora per istituirvi un mercato settimanale, quando Firenze era ancora in mano a uomini facinorosi e violenti, l’Italia stessa divisa da odi faziosi, in lotta Comuni contro Comuni, contrade contro contrade. E lui, l’inviato di Dio, l’uomo che avrebbe potuto ripristinare la giustizia e la pace, si attardava a concedere benefici, a ricevere omaggi. Nelle sue veglie notturne, Dante sicuramente pensò a Magenta, forse arrivò anche a sognarla, immaginando l’ingresso trionfale di Arrigo, così come è affrescato sulla volta del Teatro Lirico dal pittore Campi. Non poteva certo presagire che di lì a poco l’imperatore sarebbe morto, prima ancora di scorgere le belle mura della sua Firenze.