Testo di Alessandro Colombo pubblicato su MAGENTA NOSTRA n. 9 novembre 1996
L’Associazione storica “La Piarda” di Boffalora ha celebrato – nel 1996 (ndR) – con gran lustro il sesto centenario della donazione fatta da Gian Galeazzo Visconti ai monaci Certosini delle terre boffaloresi, avvenimento che ha in qualche modo segnato la crescita storica di quella località. Quell’anno 1396 segnò anche per Magenta un punto di svolta, visto che nella donazione, fatta dal Visconti, al fine di dotare il futuro monastero di una rendita adeguata alle necessità, comparivano anche molte terre in Magenta, oltre a fabbricati urbani e cascinali.
Il 15 aprile 1396, nel castello visconteo di Pavia, città a cui Gian Galeazzo era particolarmente legato, venne redatto, alla presenza di autorità ecclesiastiche e civili, l’atto di donazione perpetua “tra vivi”, e quasi duemila pertiche in Magenta, oltre ai fondi di Boffalora, Binasco, Carpiano, Graffignana, Vigano e Salvanesco entrarono a far parte del patrimonio del monastero della Beata Vergine delle Grazie, presso Pavia “con chiesa da erigersi”, l’odierna Certosa appunto, la cui costruzione iniziò nell’agosto dello stesso anno. Se a Boffalora vennero mandati alcuni monaci, che si stabilirono in una Grangia di nuova costruzione, a Magenta non si ebbe alcuna presenza certosina, ed i fondi vennero affittati dai monaci in blocco a diversi affittuari, così da ricavarne un sicuro profitto.
Molti dei terreni magentini si trovavano nella Vallata e proprio a quest’epoca si possono far risalire le tecniche di coltura intensiva dei prati, sfruttando l’abbondante presenza di acqua, sorgiva in gran parte, ed in minor misura derivata dal Naviglio. L’unico cavo con acqua proveniente dal Naviglio, quindi di proprietà dello Stato, era stato proprio ceduto ai Certosini; si trattava della roggia Cornice, o Cornisa, derivata prima del Ponte di Boffalora: bagnava tutti i fondi boffaloresi per poi esaurirsi nei prati detti “le Vallette” in territorio di Magenta, unico punto dove esisteva un grande prato a marcita.
La possessione della vallata magentina faceva capo alla cascina Bergamasca, la più grande del territorio, il cui nome farebbe pensare alle presenza dei cosiddetti “bergamini”, fittabili che d’estate si portavano con le loro bestie agli alti pascoli nella bergamasca, mentre erano soliti trascorrere la stagione invernale nelle cascine del milanese. Nella zona asciutta l’azienda certosina possedeva la cascina Mainaga, con vasti terreni tra il borgo e la frazione Ponte, oltre ad una casa sulla piazza del mercato, detta “il castello”, venduta dopo qualche tempo ai nobili Crivelli perché non indispensabile alla conduzione dei fondi.
Il patrimonio dei Certosini, in virtù della sua antica origine, poté godere, nei quattro secoli in cui appartenne alla Certosa, dell’esenzione totale dalle imposte, e solo nel 1782 Giuseppe II decise di eliminare l’ormai anacronistico privilegio. Non fu che la prima avvisaglia della rovina: di là a poco l’ordine dei Certosini venne soppresso perché considerato inutile al pubblico bene, cui tutti i sudditi, laici o ecclesiastici che fossero, dovevano contribuire. I beni dei monaci vennero incamerati dallo Stato, e i fondi di Magenta furono successivamente acquistati dal conte Cicogna, già proprietario in Magenta e Robecco di moltissime terre attorno alla cascina Peralza.
In copertina: foto storiche tratte dal sito Lombardia Beni Culturali